Dopo giorni di pioggia, un tiepido sole invernale si è affacciato su Sarajevo ad illuminare le vetrate di Dom Mladih, sede per il secondo anno consecutivo di Bazaar. Finestra aperta su prodotti tipici, mestieri antichi e specialità enograstronomiche sia regionali che internazionali, l’iniziativa ha potuto contare anche per questa quattordicesima edizione su un ampio ventaglio di soggetti espositori. “Sin dalla raccolta delle adesioni per la fiera prestiamo molta attenzione alla diversificazione dell’offerta, così da poter presentare la grande ricchezza di sapori, arti e manufatti artigianali che contraddistingue questa regione” ci ha detto Rebecca Teclemariam, membra dell’International Club of Women di Sarajevo (www.iwcsarajevo.org), l’Ong organizzatrice di Bazaar. I proventi raccolti dal biglietto d’ingresso alla fiera servono a finanziare i progetti di ICW, incentrati soprattutto sul sostegno alle fasce deboli della società bosniaca: “attraverso un gruppo di lavoro interno individuiamo ogni anno i progetti da finanziare in collaborazione con Ong locali. Per esempio l’anno scorso abbiamo sostenuto la nascita di una casa di cura per veterani di guerra a Grada?ac, supportiamo circa trecento famiglie bosniache in difficoltà economiche, forniamo strumenti musicali e materiali scolastici per gli studenti di scuole elementari e medie”. La disposizione degli stands ha seguito la struttura semi-circolare – ad anfiteatro – della sala principale di Dom Mladih: tre serie di cerchi concentrici a disegnare una colorata catena di vestiti, tappeti, manufatti in legno, monete antiche e gioielli – tutto rigorosamente fatto a mano – oltre ai prodotti enograstronomici provenienti da varie parti del mondo e offerti dalle ambasciate dei singoli paesi.

Denisa Špago viene da Konjic, la piccola cittadina a metà strada tra Sarajevo e Mostar situata all’interno della valle del fiume Neretva. Qui da quasi due secoli resiste una tradizione di produzioni lignee, tramandata di padre in figlio e giunta sino ai nostri giorni seguendo le antiche tecniche di intaglio. “In nessun altra zona della Bosnia-Erzegovina si trovano questi particolari prodotti di artigianato, entrati a far parte dell’identità stessa della comunità di Konjic”. Denisa lavora presso Rutokvorine (www.rukotvorine.com), piccolo negozio nel centro della citttà dove da quattro generazioni – il primo laboratorio è stato aperto dal capostipite Adem – la famiglia Nikši? produce tavoli, cassettiere, armadi e splendidi portagioielli lavorando finemente legno di ciliegio e noce. Nonostante i due laboratori adiacenti al negozio siano stati riconosciuti patrimonio storico-culturale del paese e posti sotto la protezione del museo nazionale di Sarajevo, mancano i fondi per aprire una scuola pubblica cittadina dove insegnare il mestiere ai più giovani, e così “le famiglie che ancora detengono i saperi legati a questa tradizione si stanno auto-organizzando per poterlo tramandare alle nuove generazioni”.

Animata dalla medesima necessità di preservare la memoria di arti e saperi antichi, Udruženje za Zaštitu Bosasnkog ?ilima (Associazione per la Protezione del ?ilim Bosniaco,www.stilla.ba) di Sarajevo produce tappeti ?ilim seguendo l’antico stile bosniaco. Come ci spiega Belma ?uzovi?, segretario generale di UZBC, “il lavoro principale dell’associazione consiste nello studio della tecnica e dei motivi decorativi presenti negli antichi tappeti bosniaci. Dopo aver fotografato i vecchi modelli – oggi rintracciabili soprattutto nelle moschee e in alcune abitazioni private -, creiamo nuovi esemplari adattandone lo stile a materiali e accessori d’abbigliamento diversi come borse o guanti”. Il lavoro di Belma e degli altri membri dell’associazione è quantomai prezioso specie se si considera che “la vita media di un tappeto è di circa centocinquanta anni, a causa del grado di deterioramento della lana. Dal momento che il restauro richiede circa un anno di lavoro, abbiamo deciso di far nascere un vero e proprio sistema produttivo locale basato però sui vecchi manufatti”. L’origine di questa tecnica risale a tempi lontani, antecedenti l’arrivo degli ottomani nella regione: “alcuni archeologi hanno trovato piccole parti di questi tappeti e sono riusciti a dimostrare che il periodo di provenienza è precedente al quindicesimo secolo, quindi anche all’arrivo dell’impero ottomano in Bosnia-Erzegovina. In seguito la tecnica ha subito gli influssi dell’arte turca, ben visibile nei motivi religiosi presenti in molti tappeti, specie quelli utilizzati dai credenti musulmani per compiere le preghiere giornaliere”.

Anche Viaggiare i Balcani era presente a Bazaar con i prodotti dell’associazione Donja Puharska di Prijedor – papu?e (pantofole), tappetini in lana grezza, borsette e guanti – e i depliants informativi di alcuni soggetti facente parte della rete balcanica di ViB: Promotur di Prijedor, Put Vode di Kraljevo e Rugova experience di Peja-Pe? (www.rugovaexperience.org).

Volgendo infine lo sguardo alla parte enogastronomica, il nostro ipotetico premio al miglior stand va all’ambasciata palestinese, la quale ha coinvolto i circa quattrocento membri della diaspora sparsi tra Sarajevo e Tuzla al fine di far scoprire odori e sapori della cucina araba: invitanti assaggi di Makloba (pietanza a base di riso speziato con pezzi di agnello marinato, cavolfiori e melanzane fritte), Mamul (dolce ai datteri), Falafel (polpettine fritte di fave o ceci tritati con cipolla, aglio e coriandolo), Kofte (polpette di carne aromatizzate con le spezie) o Khushaf (macedonia di frutta secca) hanno così permesso ai visitatori di saziare, dopo gli occhi, anche l’affamata gola.

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