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Quattordicesimo post – 13 settembre 2011

tag: Balcani, cibo, cucina, Guča, Serbia

La cucina parla di origini, di legami, di storie che si fondono.
“Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei”. Cosa e come.
Sempre là si torna.

E’ un assunto che vale ovunque, ma che in Serbia può diventare davvero importante. Non perché la cucina locale si discosti radicalmente da quelle confinanti, ma perché bilancia altre chiavi di lettura delle faccende – recenti e passate – di questo tassello d’Europa.

In un Paese in cui l’identità e la storia sono state filtrate, distorte dalla propaganda nazionalista degli ultimi decenni, in cui la gente (non tutta, ovvio, ma molta: e Guča, in questo senso, è un microcosmo interessante da studiare) esibisce simboli e ostenta atteggiamenti in cui si identifica ma con lo spaesamento di chi non ne capisce veramente la ragione, perché in qualche modo intuisce, inconsciamente, che una vera ragione non c’è… in un posto così, la cucina può fornire una lettura più trasparente, e rilassata, della storia.

Il calderone di coccio in cui ribolle lo svadbarski kupus – stufato di crauti e carni affumicate – posato su braci che vengono controllate con maestria; griglie, paioli da campo, pentole di terracotta venduti lungo le strade; la massiccia presenza della carne di maiale, e di quella ovina, del mais, o di quella delizia (di cui è facile diventare dipendenti!) che è il kaymak (panna fresca concentrata attraverso la bollitura prolungata del latte, e fatta acidificare per alcune ore)… sono solo alcuni esempi di come la cucina spieghi molto di più di berretti militari e bandiere cetniche, riesumati insieme al nazionalismo non molti anni fa.

Ma la storia si legge anche nelle palachinke di provenienza mitteleuropea, o nel lepinje, il pane piatto “gemello” del somun bosniaco. Nei cevapi o negli stufati di fagioli  che attraversano come nervature tutta l’area balcanica, e nella rakja che vi scorre in barba ai confini politici. E’ la storia che quei simboli muscolosi così enfatizzati vorrebbero minimizzare: quella fatta anche di fusione, dialogo e convivenza.
C’è poco da fare: in cucina la storia non si nasconde.
(e questo dovrebbero tenerlo a mente anche certi urlatori populisti e xenofobetti di casa nostra…)

Di cibo e di storia, in SerbiaDi cibo e di storia, in Serbia…e visto che il “cavolo cappuccio matrimoniale” ci è piaciuto parecchio, diamo qualche indicazione, per chi ne fosse incuriosito e lo volesse provare: in una casseruola di coccio si pongono strati di crauti – in alternativa si può usare del cappuccio fresco, tagliato in ottavi – alternati a strati di carni miste (bovine, ovine, suine), in parte affumicate (la pancetta è d’obbligo); e ancora, cipolle, peperoni e foglie di alloro. Si copre d’acqua e si lascia cuocere, a fuoco lento, per ore…

Di cibo e di storia, in Serbia

CopyrightTesti e fotografie © Elisabetta Tiveron – Nicola Fossella 2011.
Tutti i diritti riservati.
Website: www.lastradadelcibo.com

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