Nell’ambito della campagna di raccolta fondi per l’Associazione “L’educazione costruisce la Bosnia-Erzegovina” fondata da Jovan Divjak, pubblichiamo il capitolo dedicato ai giovani e all’istruzione tratto dal libro-intervista “Sarajevo, mon amour”, edito da Infinito Edizioni.
Ringraziamo il nostro partner “Buongiorno Bosnia, Dobar dan Venecija” per aver riproposto questo testo e parimenti ringraziamo di cuore la casa editrice Infinito Edizioni per averci consentito di pubblicarlo sul nostro sito web.

Capitolo 27 – La pace sui banchi di scuola

D. Lei oggi dedica tutto il tuo tempo ai giovani e ha fondato l’associazione “L’educazione costruisce la Bosnia Erzegovina” che si occupa degli orfani di guerra. Che tipo di attività svolge? Ha rapporti con analoghe istituzioni nella Republika Srpska (RS)?

R. Da adolescente ero stato testimone della difficile situazione degli orfani dopo la seconda guerra mondiale, e sapevo che la guerra in Bosnia sarebbe stata disastrosa per le nostre giovani generazioni. In tutto il Paese sono stati uccisi 25.000 ragazzi: 30.000 hanno perduto uno dei genitori e più di 2.000 sono diventati orfani. E per questi che ho fondato l’associazione, per fornire quel sostegno morale e materiale che permetterà loro di proseguire gli studi. In 12 anni abbiamo dato più di 24.000 borse di studio in Bosnia per un valore totale di 850.000 euro, finanziate con donazioni o grazie a manifestazioni che organizziamo per raccogliere fondi. A questo scopo, José Van Damme si è esibito a Sarajevo, insieme all’orchestra filarmonica della città diretta dal maestro Ari Van Lysebeth. Un altro obiettivo dell’associazione è poter far partire in vacanza i nostri ragazzi, dai 14 ai 25 anni. Una delle mete più ambite è il mare croato.

Collaboriamo relativamente bene con le associazioni della RS, sebbene di tanto in tanto con alcune difficoltà. Qualche anno fa dieci piccoli serbi dovevano venire insieme a noi in Croazia. Visti e formalità burocratiche, tutto era pronto grazie agli organizzatori di entrambe le entità quando, cinque giorni prima della partenza, alcuni genitori non vollero che i loro figli partissero con i figli dei mujaheddin». Non mi scoraggio, ma quest’esempio spiega bene come sia difficile cambiare le mentalità dei genitori. Sono loro a creare problemi, mai i ragazzi. – In Republika Srpska, un’associazione con sede a Foča prepara i giovani per farli partecipare alla politica locale. Inoltre, sempre in Rs, esiste un Segretariato per la gioventù. L’idea è ottima, dato che sia su scala locale sia su quella nazionale solo il 5% dei giovani è parte attiva delle strutture amministrative. Io credo che spetti a loro decidere su problemi che li riguardano, come lo sport, l’educazione, il lavoro, e non certo a me… Spero che un’istituzione di questo tipo veda la luce anche nella Federazione, ma le autorità mi hanno detto che servirebbe far votare una legge. A me sembra che una legge non serva per creare una struttura che, invece, potrebbe farsi carico di proporne una. È la vecchia storia dell’uovo e della gallina! Allora, senza arrendersi, mi sembra il caso di andare all’attacco delle varie amministrazioni, con il sostegno di numerose ONG, per tentare di formare una struttura gestita dai giovani e per i giovani. Inoltre L’educazione costruisce la Bosnia Erzegovina organizza scambi con scuole francesi: i nostri ragazzi vivono con i loro coetanei francesi per 15 giorni, e così arricchiscono il loro bagaglio culturale in direzione europea e democratica. Tengo anche a che i giovani europei, ed è successo con scuole francesi e tedesche, vengano a trascorrere dei periodi qui da noi: ispirandoci alla pace ormai solida tra studenti delle due rive del Reno, anche noi possiamo sperare in nuove generazioni non più ostaggio dell’odio.

D. I bosniaci hanno oggi una bandiera, un inno nazionale e un passaporto unici. Ma le scuole e le università forniscono uno stesso insegnamento?

R. Siamo ancora lontani da questo, anche perché la decentralizzazione del nostro sistema nasconde forti divergenze. Le due Entità hanno due costituzioni e due leggi diverse sull’educazione pubblica, e in più c’è la città di Brčko, che gode di uno statuto speciale e ha norme proprie. Già questo produce tre programmi di insegnamento, o meglio quattro, perché nella Federazione la situazione degli studenti croati e bosgnacchi non è la stessa. A ciò s’aggiunga il fatto che le due entità sono divise in dieci cantoni, ognuno con proprie leggi sull’educazione. Ecco che abbiamo dieci programmi di insegnamento, più i quattro di cui sopra! Detto questo, gli orientamenti generali possono ridursi a tre, uno per comunità. Nella Republika Srpska i programmi sono simili a quelli di Belgrado, soprattutto in storia e in letteratura. Quando uno studente apre il libro di geografia, scopre che questa repubblica appartiene allo spazio geografico naturale della Jugoslavia, ora ribattezzato “Serbia”. In Erzegovina occidentale, dove i croati sono in maggioranza, gli studenti imparano che la capitale della “Herceg-Bosna” è… Zagabria. Ebbene, questa regione secessionista creata durante la guerra dagli estremisti croati, che avrebbero voluto unirla alla Croazia, non ha alcuna base legale e sarebbe dovuta scomparire con gli accordi di pace. Là dove i croati o i serbi sono in maggioranza, i manuali scolastici sono ispirati a quelli in uso rispettivamente a Zagabria e a Bel grado. Invece dove a essere in maggioranza sono i bosgnacchi, i programmi sono più aperti, e anche se accordano ampio spazio alla storia e alla letteratura dell’islam bosniaco, introducono molti elementi che trattano delle comunità serba e croata. Nella Federazione, però, si contano almeno 17 città dove c’è una specie di doppio sistema, fino ai casi estremi di quelle 54 scuole – a Travnik, Mostar, Vares, etc. – in cui gli studenti croati sono separati dai bosgnacchi.

D. Però Consiglio d’Europa, Unesco, Parlamento europeo e diverse ONG sono da anni impegnate a trovare una soluzione al problema “dell’apartheid” nell’educazione. L’Alto rappresentante ha messo in piedi un coordinamento, di cui lei fa parte, per spingere le due Entità a collaborare. Dove siamo con questi tentativi?

R. A portare solo un po’ più in là il masso di Sisifo… Vorrei raccontarle come si 2svolto un seminario organizzato dalla fondazione tedesca Heinrich Boll sul tema L’insegnamento per tutti. Eravamo nel 2002, a Sarajevo. C’erano i rappresentanti dei ministeri dell’Educazione di tutte le province, e studenti e genitori di entrambe le entità. Formammo otto gruppi di lavoro, mescolando i vari rappresentanti, per poi cominciare a discutere su «che cosa deve esserci in un buon programma scolastico? E qui tutti d’accordo sulla qualità da garantire, sul fatto che dovrebbe to esserci gli stessi programmi e le stesse opzioni, etc.. Un’ora dopo siamo passati alle proposte concrete, e tutti proposero che si creassero commissioni etnicamente miste. Questo per tre giorni di fila. L’ultimo giorno, in seduta plenaria e ancora mossi dallo spirito unitario, innalzavamo l’ennesimo coro su manuali e programmi comuni quando, all’improvviso, un rappresentante della RR chiese la parola. Non sono d’accordo! -disse – Tutto ciò non è conforme agli accordi di Dayton. Il nostro castello di carte crollò in un istante. Perché gli accordi di Dayton stabiliscono che sono le province a essere competenti per l’insegnamento: ed è proprio questo il nodo! La situazione è particolarmente grave per quanto riguarda la storia. Nei due ultimi decenni e soprattutto la guerra del 1992-1995 venivano affrontati in modo così fazioso che è stato deciso, nel 2003, di limitare i programmi di storia al 1974. È consentito parlare della seconda guerra mondiale, ma anche su questa i punti di vista divergono. Insomma, la sola epoca su cui tutti sono quasi d’accordo è il Medioevo!

D. Non vede una contraddizione tra gli accordi di Dayton che portano acqua al mulino di chi vuole mantenere le divisioni, e il discorso dei Paesi occidentali che esorta a “unificare” il Paese?

R. Non necessariamente, poiché in questi accordi è chiaramente scritto che i tre popoli possono decidere di cambiare certi aspetti della Costituzione, qualora lo vogliano. E cioè essi potrebbero affidare la questione dell’insegnamento al go verno nazionale piuttosto che alle Entità e alle province. L’accordo del 1995 è abbastanza flessibile, e rappresenta solo una prima tappa verso la Bosnia futura. Niente è scolpito nella roccia, e la comunità internazionale invita i nostri politici ad andare avanti.

Nel giugno 2003 è stata approvata una legge-quadro sull’insegnamento nelle scuole primarie e secondarie, che prevede l’adozione di programmi unici, facilita la mobilità degli studenti e il riconoscimento dei diplomi. Ci vorrà del tempo per applicarla sull’intero territorio, innanzitutto perché tutte le province dovranno votare delle leggi attuative, e poi perché le tre comunità temono d’essere relegate al rango di minoranza. Però le pressioni internazionali cominciano a dare i loro frutti. Quattro anni fa avevo visitato una scuola elementare a Bugojno dove non solo gli studenti croati e bosgnacchi seguivano un insegnamento separato, ma nemmeno si incontravano mai, né a ricreazione né in mensa. La situazione sta gradualmente migliorando, anche grazie alla legge di cui ho parlato. In questa città, teatro d’aspri combattimenti tra croati e bosgnacchi, il Consiglio multietnico dei genitori degli studenti è molto attivo e le famiglie lavorano insieme per il progetto di ricostruzione della biblioteca municipale. Permangono però tensioni, alimentate dai nazionalisti delle due parti. Per l’inizio delle lezioni del 2004, tutte le famiglie degli studenti croati del villaggio di Novi Seher rifiutarono di mandare a scuola i propri figli per due mesi. Presso i croati, la paura di perdere lingua e identità è ancora assai forte.

Vorrei tornare sull’insegnamento della storia, che riveste un’enorme importanza nella formazione delle generazioni future. Occorrerà far sedere a uno stesso tavolo, un giorno, gli storici di tutta la ex Jugoslavia. In Bosnia sono state scritte migliaia di pagine sull’ultima guerra, per denunciare l’aggressione di cui è stato vittima il Paese. Gli storici croati parlano, invece, della loro “grande guerra patriottica, senza mai menzionare le responsabilità della Croazia in tutto questo caos. I serbi parlano di una guerra civile». Non saranno specialisti venuti da fuori ad aiutarci spetta invece ai nostri storici il compito di confrontarsi per provare a stabilire la verità. È questo spirito che dovrebbe prevalere commissione Verità e Riconciliazione che è stata formata in Bosnia con lo scopo di promuovere la pace facendo chiarezza sui crimini commessi. Però una tale commissione dovrebbe esistere in tutta la ex Jugoslavia: in mancanza di questo, non potremo mai giungere a una vera riconciliazione. Slovenia, Croazia, Bosnia e Kosovo: tutte queste guerre sono legate da un unico filo. La sete di giustizia e la ricerca di una durevole pace dovrebbero essere un obiettivo comune. Ma a tutt’oggi ognuno non vede che il suo popolo e vive ripiegato su se stesso.

Sarajevo 2017. Gruppo di studenti italiani all’interno della Vijećnica

D. I giovani con i quali quotidianamente lavora, come immaginano il proprio avvenire? Sperano che il Paese possa entrare nell’Unione europea?

R. Benché l’adesione all’Ue non sia dietro l’angolo e così non riescano a percepire questo orizzonte, i giovani sono coscienti che una solida preparazione e un eleva to livello di conoscenze apriranno loro le porte dell’Europa e del mondo. Sono a favore delle riforme: vogliono imparare, andare avanti, e di questo discutiamo spesso. Conoscevo un giovane che, prima della guerra, studiava presso l’Università di Banja Luka, in RS. Andato all’estero durante il conflitto, è rientrato in Bosnia ma nella Federazione perché, come molti altri profughi, non è riuscito a tornare da dove era fuggito. Desidera continuare gli studi a Sarajevo dove però, purtroppo, l’università non riconosce né il suo diploma di maturità né i suoi due anni post diploma. Tra le due Entità non c’è ancora alcuna equivalenza a livello di titoli di studio. In queste condizioni, come potranno “entrare in Europa” i nostri giovani? Lo stesso per gli insegnanti, il cui processo di formazione è diverso nelle due Entità, ma anche da città a città, a volte. Eccellono dei professori “locali” che però, fuori dalla loro città o dalla loro scuola, non valgono un bel nulla. Inoltre, nella scuola secondaria, l’8% dei docenti non ha alcuna qualifica, percentuale che sale al 17% nella primaria. Mancano moltissimi insegnanti di lingue straniere, di inglese e te desco in particolare. I migliori tra gli anglisti o sono andati all’estero o hanno pre ferito un mestiere meglio remunerato nelle organizzazioni internazionali. Quanto al francese, è quasi scomparso. In crescita è invece l’italiano. Nelle mie visite in università straniere sono stato favorevolmente colpito dalla vivacità che regna tra gli studenti nei corridoi e nei caffè, mentre fanno ricerche comuni su internet, curiosi di tutto, e discutono alla pari con gli insegnanti… E questa Europa della conoscenza e della moltiplicazione dei saperi che manca ai nostri ragazzi. Abbiamo molta strada da fare perché i nostri metodi di insegnamento sono un po’ vecchiotti e spingono a ingoiare nozioni, piuttosto che a riflettere in modo creativo e collegando le varie discipline. Gli insegnanti da noi recitano stancamente il copione dei loro manuali, e gli studenti prendono appunti sotto dettatura.

Al tempo stesso, però, i giovani bosniaci delle due Entità partecipano a concorsi internazionali, a competizioni come le olimpiadi della matematica e della fisica, a concorsi musicali. E spesso risultano tra i primi. Nelle generazioni di questo dopoguerra vi sono giovani di grande talento e, se riuscissimo a migliorare la qualità dell’insegnamento, otterremmo risultati ancora più interessanti. Pensandoci bene, l’Irlanda solo trent’anni fa ha lanciato un grande progetto per la formazione e i suoi giovani, oggi, hanno un elevato livello di istruzione.

Inoltre, il nostro Paese è alle prese col problema della fuga dei cervelli. Il programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp) ha condotto una ricerca su questo tema nel 2000 e nel 2003, a cui ho collaborato. Sui mille giovani delle due Entità che hanno risposto ai questionari, il 62% ha dichiarato di voler partire all’estero perché la Bosnia non offre prospettive per il futuro. Solo il 15% dei giovani che vive all’estero, invece, ha detto di essere disposto a tornare definitivamente in Bosnia, a condizione di avere un lavoro e un alloggio. Questi dati mi vengono confermati ogni volta che, in Svezia o negli Stati Uniti, incontro giovani del nostro Paese. La maggior parte di loro è interessata a visitare la Bosnia da turisti, ma non certo a tornarci per sempre. Non riescono a immaginarsi un futuro, nel loro Paese d’origine. Il settimanale Slobodna Bosna ha pubblicato tre ritratti di giovani tutti con ottime referenze di studio e lauree prese all’estero-un dottorato il primo, poliglotta il secondo e ingegnere il terzo. Giovani brillanti, ma che non trovano lavoro. E per ultimo, gli organismi internazionali e le ONG, molto presenti alla fine della guerra, hanno soppresso un buon numero di impieghi. Questa cosa è stata vissuta, qui da noi, con molta delusione. I giovani speravano di ricevere una formazione per poi poter continuare il lavoro. Certo, esistono associazioni locali, ma non creano lavoro perché non ne hanno i mezzi. Alcune rischiano di chiudere per mancanza di sovvenzioni, e il nostro governo non riesce ad aiutarle.

D. Gli orfani di guerra che la sua associazione ha aiutato saranno presto adulti. Quali progetti avete per il futuro?

R. Speravo che i giovani che hanno beneficiato del nostro aiuto prendessero il nostro posto e facessero vivere la nostra associazione, con idee nuove. Per il momento, però, non vedo nessuna iniziativa in questo senso. Abbiamo però ugualmente cominciato ad allargare il nostro raggio d’azione alla scuola e all’insegnamento in senso lato. Dal 2003, ad esempio, abbiamo messo in piedi degli atelier psico-creativi. Vi partecipano i bambini e i genitori, guidati da animatori e psicologi. Da noi, i ragazzi vanno a scuola mattino e pomeriggio, ma non esiste alcuna struttura che si occupi di loro fuori dall’ambiente scolastico: sono abbandonati a se stessi. I geni tori non hanno tempo oppure non riescono a farli partecipare a iniziative dove si prevista una quota d’iscrizione. Così abbiamo pensato di organizzare dei laboratori di ceramica e di scultura, di cui approfittiamo per aprire dibattiti tra i ragazzi, le famiglie e gli animatori. Un laboratorio, con gruppi che variano dalle 12 alle 20 persone, è stato dedicato alla psicologia, e ha ottenuto molto successo tra i genitori. C’è bisogno di forum di questo tipo. Spero, dopo averne organizzati a Sarajevo, di portare l’esperienza anche in altre località.

D. A proposito di iniziative per i giovani, cosa mi dice della scuola di musica aperta a Mostar?

R. Il centro venne fondato per iniziativa di Luciano Pavarotti. Oltre a una scuola di musica, vi sono atelier di pittura dove si svolgono incontri letterari. Si trova nella parte musulmana della città. In teoria è aperto a tutti, ma è poco frequentato dai giovani croati che hanno un loro centro culturale sull’altra riva delle Neretva Tutto è ancora difficile a Mostar. La città ha due reti d’elettricità, due compagnie telefoniche, due università… I giovani bosgnacchi e croati crescono da una parte e dall’altra di quella che era la linea del fronte, vicino a cui si trova un edificio significativo: il vecchio Liceo, la cui bella facciata ocra di stile neomoresco ricorda la Biblioteca nazionale di Sarajevo. Prima della guerra, era il Liceo di tutta la città. Oggi, con le tracce delle granate ancora ben visibili, è vuoto, e nessuno pensa di ristrutturarlo, anche se sarebbe positivo per tutte le comunità.

Srebrenica 2017. Gruppo di studenti italiani in visita

D. Dalla sua fondazione, l’associazione “L’educazione costruisce la Bosnia Erzegovina” ha lavorato a stretto contatto con varie organizzazioni umanitarie. Come giudica l’azione di queste ultime?

R. Non riuscirei a dare un giudizio generale sulla loro efficacia, ma posso dirle del lo straordinario appoggio ricevuto dalla nostra organizzazione. Ci hanno aiutato non solo Médecins du monde e la Croce Rossa tedesca, ma una miriade di piccole associazioni e di individui coraggiosi e pieni di energia, come il Forum per la demo crazia nei Balcani e Prométhée Bosnie. Ad Albertville un gruppo di atleti che aveva partecipato alle Olimpiadi del 1992 fondò Perché Sarajevo viva. In piena guerra l’associazione si recò a Mostar, Vitez, Sarajevo, Goražde, con materiale medico e vi dopo la fine della guerra, con materiale scolastico, attrezzature sportive, etc. Il suo dirigente, Henri-Georges Brun, è stato nominato umanista dell’anno dalla veri e, Lega internazionale degli umanisti. Jean-Claude Carreau, padre di uno dei caschi blu morto in Bosnia, si dedica agli orfani. Ci aiuta a finanziare gli studi dei nostri borsisti e ha aperto un centro di vacanze per giovani, La Terra dell’amicizia e della Pace, vicino Sarajevo, di cui è diventato cittadino onorario nel 1999. Se godiamo di tanta simpatia, è essenzialmente grazie all’Associazione Sarajevo, messa in piedi da Faik Dizdarević, che ci ha fatto conoscere in diverse città francesi. È straordinario il fatto che, mentre i governi di tutta l’Europa chiudevano gli occhi davanti al genocidio e alla distruzione, tanti cittadini si siano mobilitati per noi. In Spagna gli Insegnanti per la Bosnia e la polizia di Barcellona; in Italia l’Associazione Sprofondo, egli Studenti del mondo in Belgio. Inoltre La Viva, un coro assai particolare perché canta solo sul tema dei diritti dell’uomo, è divenuto membro della nostra associa zione e fa concerti tra la Bosnia e la Francia, aiutandoci a trovare nuovi sponsor per le nostre attività.

D. Secondo lei, quali sono stati i momenti più significativi di questi anni passati vicino ai ragazzi?

R. Il ricordo più forte è quello d’un viaggio fatto con i nostri ragazzi ad Auschwitz. L’iniziativa è stata presa da un avvocato italiano, Bortolo Brogliato, che l’aveva concepita per studenti di sei diversi Paesi. In totale eravamo 200. Siamo andati a piedi da Auschwitz a Birkenau, e ognuno aveva in mano una fiaccola accesa. La marcia si è svolta in un silenzio che potrei definire religioso. Nel cammino, le immagini delle migliaia di deportati che avevano fatto lo stesso nostro percorso scorrevano dentro di me: furono momenti intensi, perché il fatto di ripercorrere questa strada faceva vibrare qualcosa nel più profondo dell’anima. Poi, dopo aver lasciato le nostre fiaccole a Birkenau, siamo tornati ad Auschwitz. Avevo visto molti film e documentari, naturalmente, ma fu uno choc entrare nelle baracche, vedere quelle borse a migliaia, quei capelli… In nessun altro luogo ho vissuto un’esperienza simile. Credo che i ragazzi bosniaci più degli altri abbiano capito quale fosse il significato di tutto questo. E si commossero fino alle lacrime. Il nostro viaggio terminò ad Assisi e a Vicenza, per visitare altri luoghi della memoria dove erano stati perseguitati gli antifascisti italiani. La staffetta della pace-questo è il nome dell’iniziativa – si svolge ormai ogni anno.

Ricordiamo che il volume “Sarajevo Mon Amour” è ordinabile e acquistabile nelle librerie italiane o attraverso il sito di “Infinito Edizioni”: https://www.infinitoedizioni.it/prodotto/sarajevo-mon-amour/

Se desiderate saperne di più su OGBiH (“Obrazovanje Gradi BiH”-“L’educazione costruisce la Bosnia-Erzegovina”), vi invitiamo a leggere la seconda parte del nostro appello cliccando sul link https://www.viaggiareibalcani.it/ricordiamo-jovan-divjak…/


Si può dare il proprio contributo per ricordare Jovan Divjak sostenendo l’associazione “L’educazione costruisce la Bosnia Erzegovina”:

– tramite paypal su account info@viaggiareibalcani.net
– tramite bonifico bancario sul conto corrente intestato a Viaggiare i Balcani APS. IBAN: IT37W0830401845000045355233

Indicando il proprio indirizzo mail al momento della donazione si riceveranno 4 vignette inedite con le barzellette di Suljo e Mujo che Jovan Divjak amava raccontare alla fine di ogni incontro con lui.

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