Nell’ambito della campagna di raccolta fondi per l’Associazione “L’educazione costruisce la Bosnia-Erzegovina” fondata da Jovan Divjak, pubblichiamo questo intervento di Laura Mafizzoli, messo a disposizione dal nostro partner “Buongiorno Bosnia-Dobar dan Venecija”. Il contenuto si lega alle vignette umoristiche realizzate da quattro ragazze aderenti a questa associazione e che saranno il piccolo dono inviato a chi avrà contribuito alla campagna. Si è scelto di realizzarle per rendere omaggio all’abitudine di Jovan Divjak di raccontare “barzellette bosniache” durante gli incontri con gruppi di studenti e di adulti presso la sede dell’associazione a Sarajevo.

Ringraziamo Laura Mafizzoli e Buongiorno Bosnia-Dobar dan Venecija per averci messo a disposizione il testo.


Nei suoi “Racconti di Bosnia”, già negli anni Quaranta del Novecento, il grande scrittore Ivo Andrić descriveva l’umorismo bosniaco come “un’eccezionale capacità di sopravvivere, di subire, di soffrire con dignità e di restare solidi come querce nella costante bufera”. È difficile immaginare una descrizione migliore. Ci sono ancora pochi studi sull’umorismo bosniaco, eppure in tutti gli scritti esistenti emergono i tentativi, da parte degli autori, di coglierne l’essenza e di cercare di dare un senso a questa sua peculiare forza e centralità nella vita delle persone in Bosnia.

L’umorismo è generalmente diffuso in tutta l’area dei Balcani e scherzare fa proprio parte della quotidianità balcanica. Eppure, quando si tratta di voler sentire dei veri e propri scherzi o barzellette (in bosniaco-serbo-croato-montenegrino “vicevi”), tutti si riferiscono all’umorismo bosniaco come quello più divertente e singolare. Le barzellette in Bosnia hanno due personaggi principali, Mujo (Muhammed) e Sujo (Sulejman), a cui si aggiungono spesso altri due personaggi Haso (Hasan) e Fata (Fatima), che si addentrano nelle vicende dell’ordinario ed esplorano i disagi della vita umana con uno stupore e un’ingenuità tali da lasciare colui che ascolta inerme davanti a tale furba schiettezza. Le vicende in cui Mujo, Sujo, Haso e Fata si districano sono parabole della quotidianità di chi le racconta ed è ciò che rende queste barzellette così significative. La capacità di scherzare su sé stessi, di mettersi in gioco, di fare battute taglienti e talvolta risultare naïves per l’apparente semplicità delle narrazioni sono così forti in Bosnia che questo tipo di umorismo trascende le barzellette stesse e si nota anche nell’atteggiamento delle persone e nel modo in cui esse affrontano le faccende e le relazioni quotidiane, senza necessariamente verbalizzarle. È anche per questo motivo che Mujo, Sujo, Haso e Fata sono così cari in Bosnia: le persone vi si identificano molto e, anzi, ne sono impersonificate. Alcune delle situazioni in cui questi quattro personaggi navigano sono infatti vicende realmente accadute raccontate da chi le ha vissute usando i personaggi come proiezione di sé stessi.

Mujo e Suljo in una delle vignette realizzate da Mariangela

Quando intervistai Jovan Divjak per la mia ricerca etnografica sull’umorismo bosniaco nel lontano 2012, mi ricordo che mi disse “Aspetti un attimo” e andò nel suo ufficio a prendere quello che poi scoprii essere alcuni post-it gialli su cui aveva scritto almeno 30 barzellette. Le scorreva con lo sguardo divertito e ogni tanto diceva “Ovaj je dobar!” (Questa è buona!) e me la raccontava, ridacchiando prima, dopo e durante. In quel pomeriggio autunnale mi raccontò di come l’umorismo bosniaco fosse uno spirito (“duh”), un animo nero grazie al quale le persone danno senso a ciò che le circonda e, proprio scherzandoci sopra, se ne (ri)appropriano e non ne vengono sopraffatte. Ed è in questa (ri)appropriazione dell’incontrollabile che la peculiarità dell’umorismo bosniaco emerge. Le barzellette della guerra degli anni Novanta cristallizzano questo aspetto in maniera disarmante.

Gli abitanti di Sarajevo mi dicevano che non sono esistite mai così tante barzellette come durante gli anni della guerra in Bosnia. Mujo, Sujo, Haso e Fata si ritrovarono a correre per le strade di Sarajevo a cercare acqua, legna e cibo cercando di sfuggire ai colpi dei cecchini e navigando nel mare di corruzione che caratterizzava la maggior parte degli aiuti umanitari e con sarcasmo commentavano l’impensabile, non comprendendolo ma almeno controllandolo. Le battute che emergono da queste barzellette incarnano proprio ciò che Ivo Andrić descriveva cinquant’anni prima della guerra: una capacità di restare solidi come querce nella costante bufera.


Se desiderate saperne di più su OGBiH (“Obrazovanje Gradi BiH”-“L’educazione costruisce la Bosnia-Erzegovina”), vi invitiamo a leggere la seconda parte del nostro appello cliccando sul link https://www.viaggiareibalcani.it/ricordiamo-jovan-divjak…/

Si può dare il proprio contributo per ricordare Jovan Divjak sostenendo l’associazione “L’educazione costruisce la Bosnia Erzegovina”:

– tramite paypal su account info@viaggiareibalcani.net
– tramite bonifico bancario sul conto corrente intestato a Viaggiare i Balcani APS. IBAN: IT37W0830401845000045355233

Indicando il proprio indirizzo mail al momento della donazione si riceveranno 4 vignette inedite con le barzellette di Suljo e Mujo che Jovan Divjak amava raccontare alla fine di ogni incontro con lui.

Le autrici delle vignette. Paola, Marica, Martina e Mariangela

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