di Gianandrea Sandri
Trent’anni fa circa abbiamo girovagato per tutta l’Asia, alla ricerca di qualcosa di noi.
A saperlo, avremmo anche potuto non andare tanto lontano.
Prendete la strada che inizia da quel che rimane dello zoo di Sarajevo e seguitela fin dove finisce. Avrete bisogno di un buon fuoristrada perché, usciti dalla città, ci si inerpica tra pietre e buche.
Dopo circa mezz’ora parcheggerete nello spiazzo intorno alle rovine di una clinica distrutta nel corso della seconda guerra mondiale ( c’è una targa commemorativa); incamminatevi sul sentiero alla vostra destra, si addentra subito nel bosco.
Vi troverete in un ripido canalone, delimitato da pini scuri e folti e da prati di felci verde profondo.
Mano a mano che procedete, avvertite sempre più vicino il rumore dell’acqua che scorre, la cui provenienza, per adesso, non riuscite ad identificare.
D’improvviso il sentiero sparisce e appare il vuoto. La luce del cielo vi assalta e vi circonda, una luce chiara e intensa, una sfera dai contorni soffusi che si perdono in lontananza, una palla trasparente che rotola intorno alla lunga e buia valle, a trecento metri sotto di voi.
Spaventati dal vuoto e dagli effetti della vertigine che blocca il respiro, vi siete già aggrappati al tronco dell’ultimo pino. Allora potete affacciarvi e osservare.
Non è un prato quello che vedrete sotto di voi: la valle è tutta coperta da una foresta uniforme e impenetrabile, il vostro occhio non potrà andare oltre le cime degli alberi, un verde tappeto che ingoia e assorbe la luce che viene dall’alto.
Strani uccelli scendono lenti a grandi volute, le nuvole passano veloci, creando ombrosi chiaroscuri sulla foresta; da ovest, con la sera, avanza una tenue nebbiolina azzurra.
E alla vostra altezza, sulla sinistra, lei. La cascata si abbandona mollemente nel vuoto, con poco rumore.
L’acqua scava la roccia, solcata da vene profonde, di colore rosa pallido. Laggiù a terra un frastagliato e circolare occhio nero, dove piccoli animali stanno abbeverandosi.
Vi accorgete di essere ancora aggrappati al vostro tronco adesso sedetevi con molta attenzione, lasciando penzolare le gambe nel vuoto.
La paura è passata, chiudete gli occhi e prestate attenzione al rumore della cascatavi suggerisce di dimenticare il tempo e di ascoltare.
E’ come se questa valle esista da sempre e come la vediamo noi, così la videro i grandi animali scomparsi prima del nostro arrivo. Anzi, non è detto che laggiù non ne scorazzi ancora qualcuno, protetto dal fitto fogliame.
Skakavac, la cascata più grande nel cuore dei Balcani, vi apparirà come l’ essenza scarnificata, allo stato puro, di ciò che la natura è sempre stata; d’incanto, il suo richiamo primitivo prende ad agire, comunicandovi commozione ed euforia insieme.
I ricordi di un passato che solo in parte riconoscerete come vostro affioreranno in vivide immagini, in un sogno che saprete non appartenere solo a voi, ma all’acqua, agli uccelli, agli animali, agli alberi a tutto ciò che vi circonda
Lentamente, le immagini si sfocano, perdono di intensità, del sogno rimangono solo le sensazioni. Riaprite gli occhi, ci prepariamo a tornare, come succede a tutti quei pochi che arrivano sin qui.
Vi meraviglierete che sia ancora presto credevate fosse trascorso molto più tempo.
Se volete, ancora un piccolo sforzo e possiamo anche arrivare al fondovalle, seguendo le tracce di un sentiero che cala vertiginosamente verso la foresta.
Se ce la faremo ad arrivare, mi raccomando: quando sentirete rimbombare la terra sotto di voi, risalite più in fretta che potete.
Sono i dinosauri che accorrono, vi hanno fiutato.

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