Lo scorso luglio, viaggiando all’interno di meravigliosi e unici luoghi situati nella regione balcanica, sono stata colpita particolarmente da due villaggi, a causa del loro spirito comunitario sopravvissuto alle vicende storiche e i conflitti che hanno conosciuto nel passato recente: il pernottamento a Martin Brod e il pranzo preparato dall’associazione di donne di Kulen Vakuf, l’uno confinante con l’altro.

Foto © Igor Sovilj

Verso il tardo pomeriggio abbiamo guidato per circa dieci chilometri lungo quella che ci è stata descritta come una “strada dimenticata”, circondata da vallate e montagne carsiche tra la cittadina di Bihać e Martin Brod. Questo tratto di strada è sterrato oramai da molti anni; sebbene ad ogni campagna elettorale giungano promesse di asfaltarlo, ancora non è cambiato nulla. Anche al nostro passaggio si capiva dai cartelloni affissi a pali, case e recinzioni che eravamo in periodo elettorale, e curiosamente vi era traccia di lavori stradali in corso. Per coloro che lavorano a Bihać o devono viaggiare frequentemente al di fuori di Martin Brod, son sicura dev’essere una frustrazione continua, specialmente d’inverno quando la strada è ancora più difficile da percorrere. Forse è un altro esempio di quell'”esser dimenticato” che questa comunità sta subendo dal termine dei conflitti. Lungo la strada, nei cortili delle case sono ben visibili cavolo cappuccio (kupus), pomodori (paradajzi), zucchine (tikvice), peperoni (paprike) e alberi di melo (jabuka).

Siamo così giunti a Martin Brod, un piccolo villaggio con una manciata di case, un hotel e lo splendido Parco Nazionale Una famoso per le sue cascate e gli antichi mulini ad acqua. Il fiume Una scorre ai margini del borgo, con numerosi spiazzi dove si può pescare; la notte, un placido suono ti accompagna nel sonno.

La nostra casa e il suo padrone Milo sono situati a quattro passi dal paese, in una deliziosa abitazione lungo il fiume Una – http://www.martinbrod.webs.com/. All’arrivo, come d’abitudine ci è stato offerto un bicchiere di šljivovica, seguito dal caffè turco. E’ una bevanda molto forte, e sebbene non sia tra le mie favorite accompagnata dal bicchierino di denso e nero caffè turco forma una combinazione non poi così male. La parola šljivovica deriva da šljiva, che in lingua serbo-croata-bosniaca significa prugna. La prima parte della parola sta ad indicare da quale frutto proviene la grappa in questione, a cui si aggiunge il suffisso “vica”;  usata in diverse occasioni e servito sempre come aperitivo all’inizio dei pasti, è la bevanda alcolica a cui si porta più rispetto. Durante il nostro viaggio ci è stata offerta all’arrivo presso ogni casa dove alloggiavamo, e ad ogni pasto.

Foto © Lee-Ann Mundy

Milo ci mostra le foto e i video della sua famiglia che vive a Banja Luka, i figli vanno a scuola e la moglie lavora; nel condividerle con noi sembra orgoglioso dei loro traguardi. Dal momento che è un viaggio di conoscenza incentrato sulla gastronomia locale, la mia esperienza sotto questo aspetto è stata abbastanza differente rispetto alle altre nazioni visitate. Per esempio la colazione da Milo è stata ricca e molto varia: formaggio di mucca preparato attraverso la fermentazione di latte fresco, chiamato kajmak (merita sicuramente un secondo assaggio), che presenta un sapore leggermente acido (un poco simile al quark, se avete presente di cosa sto parlando), frittelle di pasta (uštipci, che significa “di dimensione doppia”), uova fritte, marmellate fatte in casa, e ovviamente šljivovica e caffè.

Fine prima parte.

Condividi su

Ti potrebbe piacere: