Il progetto di candidatura, iniziato nel 2009 a Sarajevo con la firma di una lettera congiunta dei rappresentanti di Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Croazia e Serbia, include 30 siti di stećci di cui 22 in Bosnia, tre in Serbia, tre in Montenegro e due in Croazia.  Delle 70.000 lapidi registrate, più di 60.000 si trovano sul territorio bosniaco ma la candidatura avrà un taglio transnazionale, includendo i quattro paesi e costituendo il primo caso di patrimonio transfrontaliero UNESCO nell’area balcanica.

A coloro che avevano posto delle resistenze sulla candidatura transnazionale, Lovrenović ha ricordato che “non si tratta di de-bosnizzare gli stećci ma di permettere ad un’area più ampia di affermarsi con questo patrimonio culturale”. Gli stećci, antiche steli funerarie pesanti fino a 30 tonnellate, si diffusero infatti tra il XIII  e il XVI secolo e influenzeranno la successiva arte funeraria ebraica e musulmana. Sotto il regno di Tvrtko I Kotromanić  (bano di Bosnia dal 1353 a 1377 e re dal 1377 al 1391), la Bosnia medievaleraggiunse l’apice della forza politica e la sua nobiltà non sfigurava per sontuosità, eleganza e arte cavalleresca nelle corti d’Europa. L’arte delle steli funebri, della scrittura e della miniatura raggiungeranno un alto grado di raffinatezza, i rapporti feudali arriveranno a un certo grado di maturità e gli stećci saranno la testimonianza del prestigio della classe nobiliare o degli appartenenti alla gerarchia ecclesiastica – e col tempo diverranno una forma di sepoltura diffusa anche tra gli strati sociali più modesti [A. Parmeggiani, 2006].


Stecak nel sepolcreto di Stolac

Abbandonati per lungo tempo, il pubblico mondiale, nonchè quello jugoslavo, dovette allo scrittore Miroslav Krleža la riscoperta di questi straordinari monumenti artistici che furono esposti a Parigi nel 1950 nella celebre mostra “l’art medieval yougoslave” ideata dallo scrittore, assieme ad affreschi di monasteri serbi e macedoni e ad esempi di archittettura romanica e gotica croata e slovena.

Il fascino degli stećci, per cui meriterebbero di far parte del Patrimonio dell’Umanità UNESCO, risiede in diversi fattori, dalla loro possibile provenienza bogumila alla testimonianza scolpita sulle tombe di valori di tolleranza, coesistenza di diverse fedi e di cultura della contaminazione. Gli stećci restano per i mistici e gli studiosi fonte di grande mistero, al punto che ancora oggi non si è venuti a capo del complicato simbolismo in essi scolpito.

Fra i simboli più arcaici appaiono la mano solitaria (che apparirà in seguito anche sulle steli funebri musulmane dal XVI secolo, il primo periodo della conquista turca); il cervo, personificazione dell’immortalità; la figura del cavallo, a cui il cavaliere, secondo gli studiosi, dà una dimensione cosmica. Inoltre, compaiono i segni del sole, della luce, del rinnovamento, della nascita e della resurrezione, espresse con il cerchio, la croce, la spirale di varie forme, la svastica, la corona, la mezzaluna, la rosetta, l’ellissi. A questi si aggiungono la rappresentazione dell’ankh, il simbolo della vita preso in prestito dalle mitologia iranica; delkolo, l’arcaico ballo in cerchio degli slavi meridionali; l’uccello sul dorso del cervo, simbolo dell’anima, e ilserpente, simbolo legato alla morte. Non sono assenti tracce di mitologia greca e romana ma in misura maggiore compaiono i simboli del primo cristianesimo dell’area, ovvero croci, rosette, angeli, fiori, santi, martiri e guerrieri, scene allegoriche, scene di caccia,  processioni, fortificazioni e cortei funebri, senza dubbio i frammenti di vita dei tumulati. [A. Parmeggiani, 2006]

Su molti di questi monumenti incisi in alfabeto bosančica (cirillico corsivo modificato con tracce di elementi glagolitici, usato non solo per gli editti dei bani e dei re e delle iscrizioni funerarie bogumile, ma anche in epoca ottomana per le trascrizioni dei documenti francescani fino alla comparsa dei caratteri latini nel XVIII secolo) troviamo epitaffi della lingua viva del tempo intrisa di slavo ecclesiastico. Per motivi non del tutto chiariti parte di questi testi sembra essere scritta a rovescio, dunque leggibile solo con degli specchi: secondo alcune teorie si tratterebbe dell’opera di scultori illitterati che ricopiando i testi non ne avrebbero compreso il giusto verso. Secondo i mistici tuttavia, le scritte al rovescio sono intenzionali e nasconderebbero messaggi arcani ascrivibili all’esoterismo.

La  prossima sessione UNESCO del 2016 deciderà se gli stećci meritano di far parte del patrimonio culturale dell’umanità, incrementando in questo modo i flussi turistici nell’area e dando la possibilità di un turismo alternativo a quello già in corso (naturalistico o di guerra). Gennaio sarà dunque un mese febbrile per la mole di documenti da presentare definiti da Lovrenovic “tra i più complessi nel campo del patrimonio architettonico”. Se tutto andrà a buon fine, gli stećci saranno parte di un turismo culturale transfrontaliero riconosciuto a livello internazionale.

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