INTRODUZIONE
a cura di Viaggiare i Balcani

La tesi di laurea di Mariangela Pizziolo è il frutto finale del suo cammino di studi in Antropologia culturale, Etnologia ed Etnolinguistica all’Università Cà Foscari di Venezia. E’ un lavoro realizzato con passione e dedizione, da cui traspare in modo chiaro la volontà di ricercare, ascoltare e riflettere.

La tesi tratta dell’area di Medjugorje, minuscola località dell’Erzegovina che ha guadagnato fama mondiale per le asserite apparizioni della Madonna a partire dal giugno 1981. Il titolo “Sul capo ha una corona di stelle. Società, conflitti e culture nella regione di Medjugorje” rivela l’intenzione di andare oltre il tradizionale dibattito sulla veridicità o meno delle apparizioni e di cercare di toccare la base culturale, la mentalità e gli stili di vita della popolazione locale, catapultata da una realtà agricola di base ad una dimensione di turbo turismo religioso.

Se è vero che ogni riga del testo lascia trasparire il massimo impegno, le parti più ispirate e profonde ci sembrano quelle in cui Mariangela “fa l’antropologa”: la descrizione di situazioni e persone con cui è venuta a contatto e le sue intuizioni e riflessioni personali sono molto stimolanti.
Ci complimentiamo con lei per aver cercato di indagare un tema tanto spesso avvolto dal pregiudizio, ma anche per l’onestà intellettuale con cui ci ha raccontato dei punti critici del suo lavoro che l’hanno messa alla prova.

Abbiamo qui il piacere di ospitare un suo articolo che tratteggia ed introduce alcuni aspetti dell’intero lavoro di tesi. Il titolo conferma l’impostazione della sua ricerca, tesa a cogliere la realtà sottopelle e a suggerire che “non è come appare”.

Buona lettura!

NON E’ COME APPARE 
articolo e foto di Mariangela Pizziolo

Era il 1981 quando sei ragazzi croati dissero di aver parlato con la Madonna, apparsa tra i rovi e i sassi di una collina dell’Erzegovina. Le loro dichiarazioni furono prontamente raggiunte da un flusso di pellegrini e di investitori così abbondante da innescare nel loro sperduto paesino, Međugorje, una vera rivoluzione. Le nuove strutture abitative e ricettive furono costruite in velocità, senza badare né alla pianificazione né all’estetica, ma solo alla domanda di alloggi e di servizi per i pellegrini. Un unico piano urbanistico fu proposto negli anni ’80, dopodiché i vuoti legislativi lasciarono al cemento e al calcestruzzo la libertà di consumare il paesaggio. Il risultato è stato un quadro disordinato, anestetico e carico di esternalità negative che si notano facilmente camminando tra gli hotel accavallati ai negozi, tra costruzioni iniziate e poi abbandonate, tra i souvenir esposti lungo i marciapiedi e le buche delle strade. 

Veduta di Međugorje dalla cima del Monte Križevac

Rimane poco di ciò che doveva esserci prima del 1981, ma spostandosi di qualche chilometro se ne ha un indizio: rocce bianche, sole, arbusti e qualche paese che si stringe in piccoli agglomerati, con orti e arnie per le api. Le strade seguono il saliscendi del terreno e lungo i bordi si vedono baracchini nei quali si vende del miele. Così doveva presentarsi anche Međugorje. La sua economia si basava principalmente sulla produzione di tabacco, alla cui lavorazione partecipavano tanto i bambini quanto gli anziani. Si coltivavano poi viti e si ricevevano i voucher del regime per ritirare farina, zucchero e olio. I Francescani gestivano i culti religiosi e i diverbi tra i parrocchiani. Una croce di otto metri e mezzo era stata posta nel 1934 sulla cima di una delle due colline di Međugorje ed il grande santuario di San Giacomo era stato ultimato già nel 1969. In molte famiglie si conservano ancora oggi le foto della vecchia chiesa, della costruzione di quella nuova, dei propri campi, delle foglie di tabacco stese a seccare, e di qualche anziana col fazzoletto in testa e le rughe scavate più dalla bora che dall’età. 

Campagna disegnata dai muretti a secco
Costruzione non-finita e abbandonata tra i vigneti di Međugorje

Guardando e ascoltando queste testimonianze ci si trova a un incrocio: quello tra la storia delle apparizioni della Madonna e la storia della Jugoslavia. Secondo molti sociologi e antropologi le apparizioni mariane seguono un movimento storico e geografico e si verificano laddove c’è bisogno di veicolare messaggi politici e sociali a soggetti subalterni che cercano riconoscimento o legittimazione. In un contesto multietnico e socialista qual era quello della Jugoslavia – e a solo un anno dalla morte del Maresciallo Tito -, il fatto che sei adolescenti croato-cattolici dichiararono di aver visto la Madonna in Erzegovina può essere considerato come uno strumento di affermazione identitaria. Il messaggio di Nostra Signora non si dovrebbe perciò risolvere nella pratica verbale, in quello che ha detto e ha continuato a dire, ma nel fatto che la sua presenza sia servita a dimostrare che quelle montagne e quella regione appartenessero ai Croati e che la religione non poteva più essere una questione repressa (o sostituita) dallo Stato comunista. 

È innegabile che, in una prospettiva diacronica, i fatti di Međugorje possiedano una densità storica rilevante, causa e conseguenza del loro contesto. Lo dimostrano il modo in cui il regime reagì alla vicenda, l’accusa di sovversione e di clerico-nazionalismo rivolta ai Francescani e le risposte dei membri delle altre confessioni religiose. In particolare, la vicinanza di Međugorje alla fossa comune di Šurmanci, in cui gli Ustaša, durante la Seconda Guerra Mondiale, avevano gettato i corpi massacrati di centinaia di Serbi, diede motivo alla Chiesa ortodossa di sostenere che l’intera vicenda fosse una pericolosa provocazione. Tali episodi forniscono argomenti alla lettura della Jugoslavia post-Tito come un decennio di rottura dei tabù che erano stati imposti sulla storia, sull’identità e sulla religione, e rientrano tuttora nelle questioni nazionaliste che imprigionano il paese. Questo, nella parrocchia, lo si può notare con facilità, nelle bandiere a scacchi ostentate, nei murales, nei nomi di alcune vie dedicate ai leader ultranazionalisti, nella costante affermazione della propria non-bosniacità, e nella totale proiezione verso la Croazia, che dista solo 15 km. 

Inoltre, nella storia di Međugorje sono subentrate delle vecchie diatribe interne al clero erzegovese di molto precedenti alle apparizioni, riguardanti la spartizione delle parrocchie e il comportamento “disobbediente” di alcuni Francescani della diocesi. Questioni che portarono i vescovi di Mostar-Duvno – l’attuale e il suo predecessore – a dichiararsi contrari alla veridicità delle apparizioni. Tale negazione, unita all’inerzia del Vaticano nel pronunciarsi sul caso, ha permesso che la parrocchia fosse gestita a lungo dai soli Francescani, dai veggenti e dai pellegrini stessi. Infatti, se in altri contesti di apparizioni, come Lourdes o Fatima, le istituzioni religiose si sono affrettate a porre regolamenti e indirizzi volti ad arginare la creatività dei fedeli, a Međugorje ciò non è accaduto. Questa assenza si è spesso tradotta in una libertà di pratiche e di interpretazioni che lo hanno reso un luogo davvero curioso e multiforme, in cui si sono affiancate regole ufficiali a molte pratiche non-ufficiali.

La via per giungere alla cima del Križevac
Gruppo di militari ucraini posa sotto la croce del Križevac

È anche per questo che chi riesce ad arrivare a Međugorje senza troppi pregiudizi vi trova un catalizzatore di densità umana. Tale densità si manifesta quando si ascolta la narrazione dei fatti da coloro che, contrari o favorevoli, li hanno vissuti in prima persona; quando ci si siede su una panchina a osservare le correnti di pellegrini di tutti i colori della pelle e dei vestiti; quando li si ascolta parlare in tutte le lingue e pregare per qualsiasi tipo di malattia o di dipendenza; quando li si vede ripercorrere in una danza scalza le pietre consunte che portano alle cime delle colline sacre. Si manifesta anche quando si vedono persone uscire dai negozi con i volti soddisfatti, quando al bar contemplano un bicchiere di birra e quando si agitano e urlano al passaggio di uno dei veggenti. In questi quarant’anni, sono state più di 35 milioni le storie umane che hanno attraversato e modificato questo luogo. 

Souvenir che riproducono la Madonna di Tihaljina, modello iconografico di Međugorje
Una folla di pellegrini cerca di fotografare la veggente Mirjana dopo un’apparizione
Pellegrini recitano le loro preghiere di fronte alla Croce Blu, ai piedi del Podbrdo

Com’è mutata la vita degli abitanti di questo villaggio da quando hanno attirato dal resto del mondo attenzione, ricchezza, domande e aspettative alle quali doversi conformare! Il mettere a disposizione le loro case e le loro risorse fu dapprima un modo per manifestare la loro accoglienza, il loro sentirsi parte di una comunità religiosa e il riconoscimento di una possibilità economica inaspettata. Con il passare del tempo e com’era da aspettarsi, le reazioni si sono diversificate e il legame con i pellegrini sembra essersi spezzato, in particolare di fronte al peso dell’invadente congestione e delle rappresentazioni che i parrocchiani sentono ricadere su di loro: c’è chi ritiene debbano essere tutti santi, chi tutti furbi affaristi e chi tutti bravi attori.

Ma cosa indica davvero la parola “Međugorje”? Forse un villaggio rurale divenuto degno dei riflettori, forse il condensarsi delle pretese identitarie di un popolo, forse una meta di pellegrinaggio, una forma di espressione religiosa più vicina al misticismo; forse indica un certo tipo di conservatorismo cattolico. Per alcuni indica un inganno, un cabaret, un covo nazionalista o un paradiso fiscale. O forse è molto più di quello che appare, e indica tutte queste cose insieme. Sicuramente, come ciascun fatto storicamente accaduto, si intreccia a tutti gli altri, e possiede una propria capacità di rivelazione nella comprensione non solo della Bosnia ed Erzegovina e della Jugoslavia, ma anche di qualcosa di noi. 

Strada che si inoltra tra la campagna erzegovese

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