La siccità ha colpito la Romania, da settimane non piove ed attorno a noi si stendono, destra e sinistra, sterminate coltivazioni di girasoli secchi e mais striminzito.

Leonard, il ragazzo che ci accompagna, non la smette di osservare la campagna e scuotere la testa sconsolato mentre l’auto avanza sulla statale assolata. Ci spiega come quest’anno la Romania dovrà acquistare mais dall’Ungheria e olio vegetale dalla Bulgaria, e che questa piccola carestia porterà ad un inevitabile aumento del prezzo del pane l’anno venturo.

Certo: il meteo non si può comandare, e non si può obbligare con una danza il cielo ad aprirsi in uno scrosciare di acque benefiche per terra e piante. Ma si potrebbe fare qualche cosa per le politiche comunitarie che sembrano sfruttare la Romania in ogni occasione senza rendere nulla indietro.


Foto Samuel Bregolin

Sarà il clima di tristezza desolante che una sconfinata campagna secca produce o il problema di gestione della comunità europea ma decidiamo di parlare dei tempi andati già ben prima di arrivare a Scornicesti, paese natale di Ceausescu.

“Prima era diverso, io ero adolescente”, ci spiega Leonard, oggi quarantenne commercila edi materie plastiche, in inglese: ” Tutti avevano un lavoro, l’economia funzionava, non ci si doveva preoccupare per il denaro e la famiglia era vicina e solidale nei momenti difficili. Oggi assomiglia di più ad una jungla, le multinazionali europee si sono comprate più della metà del paese, i gitani che prima erano obbligati a lavorare oggi rubano o fanno elemosina, molti rumeni sembrano solo voler approfittare di una libertà che prima non avevano senza pensare ad una coerente crescita democratica”. Leonard sembra raccogliere e sintetizzare molte delle opinioni che raccogliamo su Ceausescu e comunismo.

Di Ceausescu dice: ” Era un buon leader, anche se ha fatto degli errori ma dopotutto un buon leader per questo paese”. E’ strano come in Ungheria i ricordi del comunismo siano piuttosto legati alle violenze e alle repressioni mentre tutti gli abusi di potere in Romania non sono accennati, ne ricordati. La barbarie, le purghe, la mancanza di libertà sembrano essere state dimenticate, ma si sente forte la mancanza di sicurezza e stabilità che il sistema comunista portava: niente sogni di gloria quindi per il popolo romeno, ma una pacifica e garantita esistenza comune. Molto meglio, sembrano pensare i romeni, di vagheggianti piramidi azionarie che impoveriscono e spaventano la povera gente. 

Su questo tema svoltiamo, tra un campo di mais e l’altro, per Scornicesti, imbocchiamo una misera strada di asfalto tra buche e lavori interrotti, due lunghe file di abitazioni tradizionali segnano l’arrivo al villaggio ed un paio di  piccoli blocs periferici l’arrivo nel centro. Poi continuiamo ancora verso l’opposta uscita del villaggio e raggiungiamo l’abitazione. Un busto bianco di un metro e mezzo sovrasta il giardino, delimitato da una staccionata in legno: non saranno più di tre stanze, intonaci bianchi, tetti bassi di paglia, un umile terrazza in legno, piccole  e leggiadre finestrelle nere. La casa natale di Ceausescu, dove era solito ritirarsi tra un impegno e l’altro a Bucarest. Forse solo una trovata politica per dimostrare che il dittatore era umile e figlio del popolo o forse un vero focolare dove ritrovare calma e rilassatezza. Di sicuro straordinariamente diversa dalle grandi ville private che politici ed imprenditori italiani ostentano ed esibiscono quasi come divino dono.

Nel frattempo la terra romena continua a bruciare e veloci sulla statale abbandoniamo le interminate file di girasole arsi e ci avviciniamo alla Serbia.

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