Riempita la cassetta degli attrezzi teorici – basi cognitive, approcci metodologici, esperienze virtuose in ambito italiano ed europeo – riguardante gli ecomusei e le mappe di comunità, in quest’ultimo capitolo dedicato ai dispositivi di azione pubblica utilizzati a Kraljevo all’interno del programma Seenet II nell’azione “Valorizzazione del turismo ambientale nei territori di Scutari, Niš, Kraljevo, Nikšić, Peć/Peja”, metteremo alla prova tali strumenti abbozzando le possibili future “stanze” del neo costituito ecomuseo della valle del fiume Ibar.

L’occasione si è presentata durante un week-end di formazione a Kraljevo destinato al multiverso di soggetti sia pubblici che privati – agenzie di promozione turistica di Kraljevo, Raška e Novi Pazar, istituzioni pubbliche, etnografi, archeologi, storici dell’arte, geografi e sociologi -, futuri ideatori e partner dell’ecomuseo. Adriana Stefani, consulente di diversi ecomusei italiani, ha presentato ai partecipanti le mappe di comunità e l’importanza che esse ricoprono nelle prime fasi di apertura di un ecomuseo: le mappe, scriveva Sue Clifford, sono innanzitutto “un modo per cominciare”.

Il punto di partenza consiste nel delicato lavoro di sintesi delle innumerevoli e stratificate caratteristiche di un luogo, con l’obiettivo finale di far emergere quegli aspetti di esso che i membri della comunità hanno individuato come i più idonei a rappresentare l’identità di lungo periodo, il genius loci del territorio in cui abitano.

Il giorno precedente i laboratori formativi, in compagnia di Adriana Stefani, Lazar Nisavić (responsabile locale del progetto) e Luca Lietti (coordinatore italiano per conto del Comitato Servizi di Cooperazione con i Balcani) ho partecipato ad una visita-studio da Kraljevo a Novi Pazar in cerca di memorie materiali e immateriali, narrazioni e simboli da inserire nella futura mappa di comunità dell’ecomuseo della valle del fiume Ibar: provando a dispiegare quell’“immaginazione creativa” che precede l’ideazione di ogni mappa.       


La campagna attorno al villaggio di Bogutovac. 

Un primo indizio che mi guiderà durante la giornata arriva subito da Adriana: “le mappe di comunità si dividono in due grandi categorie: le mappe tematiche, che valorizzano una determinata caratteristica del territorio come per esempio quelle riguardanti un antico mestiere o tipi particolari di produzioni; abbiamo poi le mappe territoriali, che fanno perno attorno alle diverse e a volte conflittuali sfaccettature delle identità locali”. Conscio della complessità che caratterizza la valle del fiume Ibar, le diverse stratificazioni storiche e culturali depositatesi nel corso dei secoli, opto subito per la seconda tipologia di mappe. Obiettivo del viaggio sarà dunque rintracciare gli aspetti peculiari di questa valle, che diventeranno gli ambiti tematici della futura mappa e in seguito dell’ecomuseo.

Tempi di vita contadina.

Il nostro viaggio inizia di prima mattina a Bogutovac, piccolo villaggio a Sud di Kraljevo dove la Lopatnica si unisce all’Ibar. Il nome di questo borgo ha origini antiche: durante l’Alto medioevo, su queste colline si estendeva il ducato del Granduca Bogut, il quale aveva scelto come dimora personale un maniero in roccia e legno posto su un pendio sovrastante il piccolo fiume Lopatnica. Ben poco è rimasto del Granducato, a parte un cimitero pagano e soprattutto il nome del villaggio, Bogutovac.


Draga assieme al marito.

La nostra prima sosta è presso la fattoria di Draga, che ci accoglie in compagnia del marito con una ricca colazione a base di uova, rakja (grappa), salumi, peperoni, pita a base di formaggio e patate, oltre ad un kajmak freschissimo preparato il mattino stesso attraverso la bollitura del latte appena munto. Draga, assieme ad altre famiglie contadine della zona, fa parte da diversi da anni della rete di turismo rurale nata all’interno di Put Vode (la strada dell’acqua) progetto di valorizzazione territoriale attivo da diversi anni nella valle dell’Ibar e animato dal Tavolo Trentino con Kraljevo, che ha fornito una preziosa base di riferimento per il progetto ecomuseale. Oltre a vendere i propri prodotti al mercato di Kraljevo, Draga e gli altri membri della rete riforniscono i numerosi ristoranti e kafane (trattorie tipiche) della zona, oltre a ospitare turisti per pranzi e cene tradizionali. Come spesso accade, il primo “oggetto” da inserire nella mappa nasce quasi per caso, chiacchierando con la padrona di casa. L’argomento di discussione è la neve, che ogni anno ricopre per svariati mesi anche queste colline, ma come ci avverte Draga, “mai prima del giorno di San Alempie”. La data non è affatto menzionata (veniamo poi a sapere che si tratta del 9 dicembre), solo il Santo di riferimento presente nel calendario giuliano, quello seguito dagli ortodossi. Lazar si ricorda che anche sua nonna, ogniqualvolta venga interrogata sulla propria data di nascita, suole rispondere “due giorni dopo San Nikola”. Ci siamo: la prima stanza del mio ecomuseo saranno i tempi di vita contadina di questa valle, scanditi dai grevi e barbuti volti dei santi da onorare e fissare nella memoria collettiva.    

La fortezza di Maglić: l’eredità medioevale. 

Lasciata la fattoria di Draga, dopo aver risalito per qualche chilometro il corso dell’Ibar ci fermiamo sul ciglio della strada per ammirare la fortezza di Maglić, che domina la vallata grazie alla sua posizione strategica in cima ad un’alta roccia tagliata a picco. 

Luca ci spiega le diverse funzioni che ricoprirà la fortezza una volta finiti i lavori di ristrutturazione previsti all’interno del progetto Seenet: “accanto agli interventi materiali, l’idea di fondo è restituire il castello alla gente del luogo: sino ad oggi infatti non è stato vissuto dagli abitanti a causa della presenza di zone pericolanti e poco sicure. In futuro sarà adibito a diverse funzioni: per scopi educativi e didattici come gite scolastiche per far conoscere la storia non solo della fortezza ma più in generale di questa regione; fattorie didattiche per scoprire tradizioni legate alla terra e alla vita rurale; infine, luogo per eventi di tipo culturale comespettacoli teatrali all’aperto. L’obiettivo principale è in ogni caso farlo diventare un’attrazione turistica sia regionale che a livello europeo. A questo proposito, abbiamo già ricevuto un’offerta da un ristorante della zona che si è reso disponibile ad organizzare in futuro delle “cene medioevali” nei boschi attorno alla fortezza, unendo cibo tradizionale e  narrazioni riguardanti storie e leggende della valle”.

La fortezza era un importante avamposto militare (riconoscibile al suo interno dalla piccola chiesa di San Giorgio, protettore dei militari), eretta nel tredicesimo secolo a difesa del confine settentrionale del regno medioevale serbo guidato dalla dinastia dei Nemanja. I possedimenti del regno, che alla metà del quattordicesimo secolo (sotto la guida del re Dušan) spaziavano dal Danubio sino all’Adriatico e all’Egeo, avevano come nucleo originario proprio la valle dell’Ibar, dove si trovava anche la capitale del regno Ras, nei pressi dell’odierna Novi Pazar. 


La fortezza di Maglic.

Adriana – nascosta dietro un ascoltare discreto, lunghi silenzi ad anticipare domande sempre in grado di spostare più in profondità il livello del nostro ragionamento – interpella Lazar circa il legame simbolico che questo luogo ha sviluppato con la comunità circostante: “la fortezza rappresenta il simbolo più evidente dell’eredità medioevale di questa regione. Specialmente negli ultimi dieci anni, grazie all’afflusso di turisti locali, anche gli abitanti si sono riavvicinati ad esso. Ma Maglić potrebbe ricoprire un’altra importante funzione. Come al periodo della sua fondazione, quando cioè apparteneva al regno di Serbia, anche oggi la sua proprietà è pubblica, comune. Se pensiamo che la maggior parte degli altri siti medioevali di questa valle sono sotto il controllo delle comunità religiose (ortodosse e musulmane), spesso in conflitto tra di loro, questo castello potrebbe rappresentare anche un simbolo del passato medioevale che unisca piuttosto che dividere”. Emerge qui una delle questioni più delicate riguardanti le mappe di comunità, ossia quel processo di continua ricerca di equilibrio – sempre precario e avente carattere contrattuale – tra integrazione e individualità, tra senso di appartenenza ad un contesto più ampio e necessità di autoaffermazione della propria specificità, che va sotto il nome di identità collettiva.

Forse il carattere partecipato e processuale dello strumento mappa di comunità potrà essere d’aiuto a rintracciare tracce di memoria condivisa, anche di questo lontano periodo storico. Di fondamentale importanza sarà il ruolo di Lazar, che oltre alla lettura e comprensione della propria cultura locale avrà il difficile  compito – in quanto leader e animatore dell’ecomuseo – di mediare relazioni non formali con attori istituzionali e imprenditoriali, associazioni, comunità religiose o semplici cittadini coinvolti nel percorso ecomuseale.

Continua.

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Immaginando mappe di comunità nella valle dell’Ibar. Seconda parte.

 

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