Occasione dunque per ragionare attorno a questi dispositivi di azione pubblica: le basi cognitive alla base della loro nascita, la cornice normativa per arrivare infine alla messa in opera in contesti specifici. Nell’ultima parte dell’approfondimento seguiremo Adriana Stefani, consulente di alcuni ecomusei italiani ed esperta in mappe di comunità, lungo le possibili future “stanze” dell’ecomuseo della valle del fiume Ibar, in una visita-studio da Kraljevo a Novi Pazar compiuta il giorno precedente i laboratori formativi.

Oltre il museo.

I musei non sono mai esistiti nelle epoche in cui l’arte è in buona salute e prospera la creatività vitale. I musei non sono altro che cimiteri dell’arte, catacombe in cui i resti di ciò che un tempo era cosa viva sono sistemati in una promiscuità sepolcrale.

(Thèophile Torè)

I significati accordati al mondo e i suoi artefatti cambiano di epoca in epoca. In un lontano passato, il museo non era il luogo della conservazione ed esposizione così come viene perlopiù inteso oggi, bensì il luogo sacro delle muse, il luogo dell’ispirazione: nel 290 a.c., quando Tolomeo I Sotere decise di fondare ad Alessandria d’Egitto il Museion, era mosso dal desiderio di incentivare la ricerca e offrire a un gruppo di eruditi la possibilità di approfondire i loro studi.

Seguendo il percorso tracciato da Silvia Dell’Orso in Musei e territorio, è a partire dagli anni settanta che si fa strada l’idea di ridare “creatività vitale” ai musei, per superare la difficile integrazione tra tutela e valorizzazione evitando i rischi di una passiva “museificazione” e garantendo in tal modo vitalità al patrimonio.

Convenzioni, reti e buone pratiche.

Convenzione per la tutela del patrimonio
culturale immateriale, Unesco, 2003

Declaration of Intent of the Long Net Workshop,
Trento (Italy), May 2004.

La federazione degli ecomusei francesi.

Alcuni interessanti esperienze di musei
etnografici ed ecomusei in Italia:

- Il museo degli usi e costumi della
gente trentina di San Michele all’Adige.

- Ecomuseo del paesaggio di Parabiago.

- Ecomuseo del casentino

- Museo delle genti d’abruzzo

Il risultato è stato un doppio movimento, dall’esterno verso l’interno dei musei e al contrario. Il primo passo è stato l’entrata in scena, all’interno dei musei, di vita quotidiana, storia orale e tradizioni sedimentate di generazione in generazione; ritessendo il filo di un percorso culturale di identificazione col territorio, individuando alcuni elementi significativi da un punto di vista materiale o simbolico per valorizzarli. Nei casi in cui le amministrazioni locali hanno sostenuto questi processi – e qui si trova il secondo movimento dall’interno verso l’esterno – i musei stessi hanno cominciato a proporsi come servizio sociale e culturale a beneficio del cittadino, strumento di identificazione tra la collettività e l’istituzione: integrando tutela e valorizzazione, conservazione e gestione del patrimonio culturale, stimolando la partecipazione e creando un rapporto tra patrimonio culturale e sviluppo locale. Subentra dunque il legame con (buone) politiche pubbliche: il museo, come ha scritto Gianni Romano, diventa uno “strumento di una politica attiva e di buon governo del territorio che non mutila la memoria del passato e consente la sopravvivenza di contenuti per il futuro”.

L’ecomuseo della valle del fiume Ibar passerà inevitabilmente anche attraverso le campagne che circondano Kraljevo, recuperando usi e stili di vita contadina della regione.

Anche Fredi Drugman auspicava la trasformazione dei musei da “salotto delle muse” a piazza civica, agorà, luogo pubblico per eccellenza, punto di aggregazione dei cittadini. Questa vocazione relazionale (con le comunità locali) potrebbe essere stimolata da tutti quei richiami – veicolati in particolare dalle istituzioni europee – all’auotogoverno, l’enfasi sulla “localizzazione” delle politiche e la governance multilevel come architettura istituzionale in grado di far dialogare i differenti livelli di governo, così come in senso orizzontale soggetti pubblici, privati e provenienti dal mondo associazionistico o cooperativo. Ecomusei, musei etnografici, musei diffusi potrebbero diventare uno strumento “politico” di supporto a questi indirizzi, sostenendo processi di sviluppo e integrazione sociale, potenzialmente in grado di incidere sul territorio e insieme un mezzo per contribuire al suo sviluppo. Essi segnano infatti il passaggio fondamentale dalla collezione al patrimonio, da luogo fisico a territorio da interpretare, da pubblico generico di visitatori a comunità della quale attivare processi partecipativi. Queste nuove forme di museo inoltre possono diventare moltiplicatori di progetti locali e reti relazionali, i cui attori principali sono le comunità e i loro abitanti piuttosto che le amministrazioni, semmai dialogando e confrontandosi con esse.

Ecomuseo: un oggetto comunicativo ad alta complessità.

Concentrandoci ora sull’ecomuseo, di cosa si tratta esattamente? Una prima definizione potrebbe essere “oggetto comunicativo complesso”, che usa codici molteplici di varie esperienze del vedere, del gustare, del capire al fine di valorizzare e custodire la memoria di un determinato luogo.

Maurizio Maggi, in Ecomusei. Guida Europea li definisce come “un tipo speciale di museo basato su un accordo attraverso il quale una comunità locale si prende cura di un luogo”. Comunità locale, presa in carico, luoghi: è evidente il rimando allo sviluppo locale auto-sostenibile. Ecomusei pertanto come modalità dinamiche ed innovative attraverso le quali una comunità locale preserva, interpreta e amministra la propria eredità – storica, culturale, paesaggistica – attivando processi di sviluppo sostenibile. 

Luogo qui va inteso nel senso più ampio possibile, come intreccio e sovrapposizione di strati di significati culturali, sociali e ambientali che vanno a comporre il patrimonio di un territorio. Proprio questo carattere complesso e processuale degli ecomusei li priva di una definizione fissa, data una volta per tutte: sono musei più di idee che di oggetti.

La struttura base di un ecomuseo.

L’accordo alla base dell’ecomuseo riflette invece il suo carattere partecipativo, è l’intera comunità a impegnarsi sin dalle fasi iniziali della sua progettazione: esperti, esponenti dell’amministrazione comunale, ma soprattutto gli abitanti, detentori di quei saperi locali che andranno a comporre le diverse “stanze” del museo. Un momento molto importante nella fondazione di qualsiasi museo è quello della scelta: da un lato, c’è infatti il rischio che ci si perda nell’accumulazione; dall’altro – specie per i piccoli musei – il rischio è quello dell’autoreferenzialità e dunque dell’eccesso di localismo, dello sconfinamento nella nostalgia di un passato perduto per sempre. Una via d’uscita può essere rappresentata nel passaggio dalla memoria alla visione, dalla nostalgia allo sviluppo: pensando il museo come uno strumento che favorisca percorsi di rivitalizzazione delle comunità locali – attraverso il turismo responsabile oppure la connessione con altre reti e sistemi museali – affinché non solo si conservi ma anche si produca cultura.

Tra gli strumenti utilizzati per fare una sintesi della complessità alla base degli ecomusei, e guidare in tal modo il difficile percorso della scelta, è sempre più diffusa la mappa di comunità. Nella seconda parte di questo approfondimento ne racconteremo genesi e utilizzo pratico.

Fine prima parte.

Per saperne di più:

– Silvia Dell’Orso, Musei e territorio. Una scommessa italiana, Electa, 2009;

– Hugues de Varine, Le radici del futuro. Il patrimonio culturale al servizio dello sviluppo locale, Clueb, 2005;

– Maurizio Maggi, Ecomusei. Guida Europea, Umberto Allemandi, 2002.

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