Le pagine che seguono sono un semplice diario di bordo, senz’altro incompleto e non sempre esatto. Queste pagine, più che a me, vanno attribuite a Margherita per la cura che ha messo nel correggerle , nell’aggiungere, nel modificare. Se non fosse stato per Lei non avrei intrapreso questo viaggio, quindi non avrei scritto e nessuno avrebbe letto. Sono grato a tutti per ogni minuto di ogni giornata che abbiamo passato insieme e per l’amicizia ricevuta. L’arrivo in Montenegro: Kotor e dintorni La costa del Montenegro è là a est, è vicina, qualche nuvola in cielo è bianca di luce e ancora sfrangiata dal vento. Sono appena partito e già mi sembra tanto tempo che sono lontano da casa e dall’ufficio. Arriviamo a Bar “Antivari”, dall’altra parte dell’Adriatico, di fronte a Bari. E’ mattina inoltrata e l’aria è fresca. Il cielo si è riempito di nuvole, le montagne degradano verso il mare con il sole addosso. La dogana è attenta, ma sbrigativa, il porto affollato di barche turistiche. Ci sono tre traghetti all’ancora, di grandi dimensioni. La nostra meta è Tivat, una cittadina situata in fondo alle Bocche di Cattaro. Percorriamo una strada costiera che corre tra i boschi di pini, di cipressi e di querce. Occhieggiano cespugli gialli di ginestre (…)

Arriviamo a San Stefano, Sveti Stefan, che è un piccolo villaggio in mezzo al mare unito alla terraferma da una striscia di terra su cui corre una strada. Poi passiamo da Budva. Il luogo è sempre pieno di verde anche se l’urbanizzazione sulla costa è spesso già troppa, il cemento avanza, tra brutte case di vacanza spesso non finite. Arriviamo a Tivat che, dopo la capitale, è l’unica città con l’aeroporto situato in fondo al fiordo delle Bocche del Cattaro. Nel porto c’è un veliero a tre alberi del 1931. E’ ancorato e lì in esposizione. Dopo un pranzo semplice e soddisfacente, ripartiamo verso il fiordo, molto profondo. Viaggiamo su una strada, assai stretta, che costeggia il mare. Sull’altra sponda, sotto le montagne, a picco ci sono piccole case vecchie, ben inserite e palazzoni nuovi, osceni. Qualche grande imbarcazione da miliardari è all’ancora. La strada è lunga e poi si arriva in fondo al fiordo. Siamo a Kotor (Cattaro), patrimonio UNESCO dal 1979. Un’antica muraglia serpeggia su per la montagna: serviva per la difesa della città. Quattro chilometri di mura, larghe da due a venti metri a forma di triangolo, circondano la città. La cinta di mura ha due porte: quella da cui entriamo è del 1500, un’altra porta è verso est. Il Leone di San Marco campeggia sulla porta principale. Nell’abitato ci sono trenta chilometri di strade. La città ha pochissima acqua potabile, quella piovana viene raccolta nelle cisterne. La città è antica e molto bella. Nella piazza c’è una Cattedrale cattolica dell’800, distrutta da un incendio nel dodicesimo secolo. Alla fine degli anni settanta un terremoto ha inferto grandi danni a tutto questo territorio e la chiesa, all’interno, ha subito un restauro pesante. La città è stata originariamente costruita dagli Illiri, poi sono arrivati i Romani, poi i Bizantini, poi i Veneziani, poi Napoleone, poi gli Austriaci, poi le truppe italiane, per un breve periodo, nell’ultima guerra. Il centro storico oggi conta poco più di duecento abitanti, mentre settemila circa sono quelli dell’intera municipalità. Santa Maria è una bella chiesa del 1300, di stile romanico, costruita sulle rovine del VI secolo. Vicino c’è l’unica fonte di acqua potabile di tutta la città. Lasciamo il mare, che nostalgia quella vecchia barca ancorata alla riva bianca e un po’ arrugginita! Per un breve tratto prendiamo una strada tra montagne basse, verdi di boschi e di falsi piani dove crescono grandi alberi di salice. Da noi sono terreni che sarebbero messi a coltura, qui sono abbandonati. Ritorniamo verso il mare. In mezzo al fiordo c’è una lunga isola, come una dorsale che emerge dall’acqua. Ci dicono che sulla costa sono arrivati i Russi e hanno comprato tutto il possibile, case , alberghi, terreno. Gli abitanti del posto sembrano non aver gradito, salvo ovviamente chi ci ha guadagnato. Anche qui è successo ciò che un po’ dovunque succede nelle località turistiche: gente che magari era povera che, improvvisamente, si è arricchita vendendo tutta o parte della sua proprietà. A cena ci fermiamo presso una famiglia del posto, in campagna, lontano dalla confusione. La casa è antica, unica. Nel cortile, sotto una pergola di vite, hanno preparato la tavola. Intorno c’è un muro e c’è la porta della cantina dove stagionano i prosciutti, oltre, la scala che sale all’abitazione. L’ospitalità è genuina. Intorno c’è il silenzio e ci sono i vasi di fiori. Il benvenuto è a base di grappa e di frittelle calde. I colori del tramonto incorniciano il cielo e degradano verso il mare, che si vede da lontano. La cena è servita con prosciutto, formaggi, sardine salate e verdure crude. La compagnia è felice, il vino è buono, nero come l’inchiostro e morbido come se fosse mosto. La quiete del posto ci fa stare bene. Ci sentiamo immersi nei grandi spazi di tutta la macchia mediterranea che c’è intorno, oltre il muro del cortile. I profumi sono quelli del mirto, della salvia, della ginestra, del lentischio, del viburno, del biancospino. La grappa scalda di dentro il freddo della sera che c’è fuori. Finisce la cena quando si spengono i colori del tramonto. Torniamo in albergo lungo una strada, come al solito stretta, nel buio della notte. Dormo un sonno profondo e, invece, l’indomani mattina qualcuno della compagnia dirà di non aver dormito affatto a causa dei rumori o chissà, forse dei pensieri per il viaggio. Il Monastero di Ostrog Andiamo a visitare il monastero di Ostrog dedicato a San Basilio. Sulla strada c’è un posto per turisti dove si possono acquistare souvenir, olio, vino, miele e ci sono due bar, un ristorante, una scuola, un posto di ritrovo multiuso, nuovo, semi abbandonato. C’è anche un cimitero, con tombe vecchie, in genere provviste di croce ortodossa e tombe nuove spesso ricche di marmi pregiati con i soliti fiori di plastica. Molte tombe non hanno alcun segno religioso, altre hanno la stella rossa. L’erba alta tra le tombe solo in parte è stata tagliata. Nel ristorante un’insalata abbondante compreso il coperto costa un euro e ottanta centesimi e siamo in un luogo di turisti! La strada per il monastero è molto stretta e molto frequentata ma, a detta della nostra guida, non è mai successo un incidente: merito di San Basilio. Per l’esattezza oltre il battistero, i monasteri sono due, distanti tra loro venti minuti a piedi. A metà strada c’è una grossa condotta per produrre energia elettrica. Siamo a strapiombo con settecento metri di dislivello. La montagna è a picco sulla strada. Nel cielo ci sono tante rondini. Sono tornate le nuvole. C’è da dire che San Basilio aveva scelto il posto giusto per la quiete del suo eremo. San Basilio è morto qui nel 1671 e dicono che ha fatto molti miracoli, ad esempio quando una bomba, nell’ultima guerra, cadde sul monastero, non esplose, poi quando una bambina precipitò in un dirupo per 40 metri, non morì. Visitiamo il battistero appena più in alto ed assistiamo al battesimo di un bambino. La cerimonia assomiglia alla nostra, a parte la complessità sia dell’unzione che del bagno. Il bambino avrà tre o quattro anni, piange terrorizzato e la preghiera è fitta e salmodiata. Questo è il monastero più importante del Montenegro. Qui possono venire, oltre che a pregare, a battezzarsi da tutto il territorio montenegrino e anche dalla Serbia. San Basilio è venerato dagli ortodossi, ma anche dai turchi. Il monastero fu teatro di aspre lotte tra Turchi e Cristiani e il corpo del Santo, per sicurezza, fu trasportato più volte altrove e poi riportato qui. Ancora un po’ di percorso in pullman e poi proseguiamo a piedi. Il monastero, quello più in alto, è ricco di spiritualità. I ristretti vani usati dai monaci hanno spesso una o due pareti scavate nella roccia, con affreschi o con l’intonaco bianco. Un monaco ci guida al sarcofago di San Basilio (la sua festa ricorre il dodici maggio) dove si può baciare una croce e un’icona della Madonna. Anche il sarcofago dove c’è il corpo del Santo in alcune ricorrenze viene aperto e si può baciare la salma coperta da preziosi paramenti. Incontriamo alcuni italiani. Lasciamo doverosamente un’elemosina, compriamo oggetti sacri, un po’ per ricordo un po’ per devozione e andiamo a mangiare in un ristorante lì vicino. Lasciamo la zona del monastero e ripassiamo per la città di Podgorica. Un dolce navigare tra le bellezze del Lago di Scutari

Partiamo dal porto di Virpazar (vortice, “vir”, di fiumi con tre ponti) per la nostra escursione. Siamo dentro nel lago, sulla barca a motore, guidata da Darko. Il lago per due parti appartiene al Montenegro, per una parte all’Albania, il suo simbolo è il pellicano, ne esiste una colonia di quaranta esemplari; nelle sue acque ci sono cinquantadue specie di pesci e nelle sue vicinanze dimorano circa cinquecento specie di uccelli. I tirabusi, uccelli d’acqua con una piccola cresta sulla testa, si tuffano al nostro passaggio. Adesso, usciti dalla palude, viaggiamo sullo specchio azzurro del lago, con le montagne verdi intorno, senza case, strade o altre opere dell’uomo sulle rive. Sembra di essere dentro l’occhio del mondo che è il lago. La profondità media è di sei metri, ma c’è un punto molto più profondo perché sotto ci sono varie sorgenti. Arriviamo a un isolotto pieno di rovine. Era il carcere femminile costruito nel 1847. Qui finivano le donne che commettevano dei delitti, ma soprattutto veniva punito l’adulterio. Il guardiano della prigione era l’unico uomo che vi viveva e se una prigioniera riusciva a scappare lui doveva scontare gli anni di prigione inflitti a chi era fuggita. La prigione aveva dodici stanze di cui sette sotto il livello dell’acqua. Oggi le rovine ospitano i nidi dei cormorani e dei gabbiani. Tra le rovine spuntano scarne tamerici e arbusti di quercia. Netto è il profilo delle montagne contro l’azzurro del cielo. La brezza muove piccole onde e sotto il sole la superficie del lago è tutta un baluginare. Vicino alla riva il colore dell’acqua diventa verde perché specchia la vegetazione delle pendici dei monti. Arriviamo a un piccolo villaggio che una volta era di pescatori. Le case sono antiche, l’origine del villaggio è del dodicesimo secolo. Fino a pochi anni fa ci abitava una donna sola che è morta a ottantasei anni. Suo figlio, che fa il pescatore, viene ancora ogni tanto. Infatti lo vediamo scendere dal sentiero con l’asino dal mantello chiaro (…) Su un’altra isola ci sono due chiese, del quattordicesimo e del quindicesimo secolo, quella più grande è dedicata a San Giorgio, importantissimo Santo per la cultura religiosa ortodossa e quella più piccola alla Madonna. E’ l’isola di Beska, dove sbarchiamo. Ci accoglie una giovane monaca che ci spiega la storia delle due chiese. (…) Oggi nel monastero vivono sei persone: tre monache e tre novizie. Una monaca fabbrica icone, una confeziona vestiti e poi tutte lavorano per la ristrutturazione del monastero e delle chiese. Durante la giornata pregano dalle cinque alle sette e dalle diciotto alle diciannove e trenta, ma lo fanno anche durante il lavoro. Il monastero è stato riaperto da sette anni . Ci sono anche due uomini giovani intenti a mettere a posto una massicciata. Quattro isole vicine tra loro avevano quattro monasteri, tutti dedicati alla Madonna, tutti femminili, tranne uno. Nella religione ortodossa, al centro, non c’è il peccato ma l’affidamento a Dio. Credere e abbandonarsi, così come siamo, nelle mani di Dio, equivale a salvarsi. Per cui, ci dice la nostra monaca, la fede non è questione di intelligenza, di volontà o di tradizioni familiari, ma è questione di cuore. Il cuore è un termine poco usato oggi: prima penso, secondo sento, terzo parlo, quarto lavoro, ma di cuore ne uso poco, continua la monaca, perché ciò è possibile solo con l’intervento dello Spirito Santo. E’ diverso, ma ricorda il nostro credo cattolico “Bussate e vi sarà aperto”, “Cercate e troverete”. Viene da pensare che non è questione di filosofia o di religione, ma il cuore è proprio quello che manca oggi nella nostra società. Sorella Vesna, è il nome della monaca che ci parla, avrà trent’anni, è esile e bella, il suo vestito è dimesso (stava lavorando), parla bene l’inglese e un po’ il francese. Ci offre succo di frutta, acqua e un ottimo caffé alla turca con la torta al cioccolato. Davanti al monastero c’è un piccolo orto tra le rocce carsiche dove crescono pomodori, cipolle e insalate. C’è un’armonia e una pace immensa, sotto il caldo del sole che picchia a mezzogiorno tra la macchia mediterranea. Vorremmo tutti restare, ma dobbiamo spostarci sulla riva del lago. Ci aspetta un pranzo al sacco, su una spiaggia di sassi fini macinati dall’acqua,. Non c’è nessuno. Consumiamo il nostro pane, formaggio e prosciutto all’ombra di due celtis secolari, comunemente chiamati bagolari. (…) Sul lago ci siamo solo noi. In una giornata così, se penso a cos’è l’affollamento sui nostri laghi, il confronto non regge. Il rumore del motore sempre uguale, alla lunga è come se fosse silenzio. Guarda la galleria di immagini Argomenti correlati: viaggio in Montenegro 21-28 settembre 2010

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