Un viaggio attraverso i confini vecchi e nuovi e le numerose memorie divise del ‘900. Questa la tematica che ha accompagnato i 12 insegnanti coinvolti nel progetto “Memorie divise del ‘900” nato dalla collaborazione tra l’Associazione culturale pAssaggi di Storia di Firenze e l’Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea della Provincia di Pistoia.

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Grazie ai fondi ottenuti dalla Regione Toscana, le due associazioni hanno potuto realizzare, con un largo partenariato nazionale (Liceo Scientifico Statale “Amedeo di Savoia Duca d’Aosta”, Osservatorio dei Balcani e del Caucaso, Narodna in študijska knjižnica v Trstu / Biblioteca Nazionale Slovena e degli Studi di Trieste, Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia (IRSML) e internazionale (ADL Prijedor, IDC Sarajevo, JUSP Donja Gradina, National Park Kozara) quattro incontri di preparazione teorica tra marzo e giugno 2011, quindi il viaggio di approfondimento e conoscenza, e un momento di restituzione alla cittadinanza da realizzarsi grazie anche al supporto della Provincia di Pistoia.

Il percorso proposto si pone come obbiettivo quello di offrire alcuni strumenti di conoscenza e di riflessione sulla tematica delle memorie divise e delle diverse narrazioni storiche che impediscono la comprensione reciproca tra i popoli e quindi un solido sviluppo di relazioni pacifiche. Gli esempi potrebbero essere migliaia e non solo uscendo dai nostri confini.

Questo progetto ha scelto di concentrarsi sulle memorie divise del Confine Orientale/Occidentale, sulle memorie divise tra serbi
e croati sulla II guerra mondiale così come sulle memorie divise dei popoli ex-jugoslavi degli anni ’90. Ogni argomento è stato quindi trattato cercando di mettere a fuoco la complessità di queste vicende senza censure nei confronti dei diversi racconti e delle diverse memorie, ma al contempo senza dimenticare che dobbiamo affrontare queste differenze con il dialogo e una conoscenza più ampia delle vicende e la responsabilità, come storici e insegnanti, di riproporle adeguatamente.

Tutte queste vicende e memorie, dal Confine Orientale alle guerre degli ani ’90, si legano ad un’unica storia complessa e dolorosa, dove ogni parte ha saputo spesso coltivare soltanto la propria memoria ed è stata incapace di riconoscere stessa dignità a quella degli altri.

In modo tragicamente più evidente, le vicende degli anni ’90 in Jugoslavia hanno dimostrato quanti danni possa fare la strumentalizzazione di un passato mai affrontato nei suoi nodi problematici.

Questo e molto altro ci hanno raccontato i luoghi che abbiamo visitato e attraversato grazie a questo progetto.

Finalmente si parte, pieni di entusiasmo e curiosità, ma anche di aspettative e pregiudizi!

Prima tappa del viaggio è GONARS, sito del campo di concentramento italiano per jugoslavi, dove ci accompagna la storica Alessandra Kersevan. Visitiamo il Sacrario Memoriale costruito dall’architetto Miodrag Zivkovic di Belgrado dall’allora SFRJ, come ci spiega la Kersevan, “nell’ambito degli accordi tra governo jugoslavo e italiano che sarebbero sfociati nel 1975 nell’accordo di Osimo. Al margine di quegli accordi c’era anche la richiesta da parte della Jugoslavia di poter costruire dei sacrari per i cittadini morti sul territorio italiano. Ne vennero costruiti 4, Gonars (UD), San Sepolcro (AR), Roma e Bari”.

Se in quegli anni vi era un tentativo di riconoscere le vittime altrui e rispettarne anche il ricordo, i nuovi cartelli informativi ci riportano alla questione delle memorie divise in un modo che non ci saremmo aspettati. “Prima c’era un solo cartello – continua la Kersevan – che parlava di internati jugoslavi.

Gonars
          Monumento di Gonars. www.gonarsmemorial.eu

Dopo la divisione della Jugoslavia hanno voluto dividere anche i morti che, tra l’altro, non vengono ricordati neppure tutti perché ci sono stati
anche alcuni serbi e rom”. I nuovi cartelli post-jugoslavi, infatti, ricordano separatamente gli internati croati e sloveni e le altre vittime della II guerra mondiale, ponendoci di fronte al primo caso di memoria divisa. Ma il monumento di Gonars, come ci ricorda ancora la Kersevan, è un
luogo simbolo anche di una memoria negata e cancellata da parte degli italiani e che, col suo progetto Gonars the italian lost memory , la studiosa sta cercando di riportare alla nostra attenzione al fine di riconoscere le nostre colpe e le loro sofferenze.

Il viaggio prosegue per Basovizza (TS) dove incontriamo nuovamente un caso interessante di sovrapposizione e divisione di memorie. Grazie allo storico Sandi Volk di Trieste, partecipiamo alla commemorazione di 4 giovani antifascisti sloveni condannati a morte il 5 settembre 1930 dai
fascisti da un Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato “che inscenò a Trieste – come ricorda il volantino – un processo il cui regista occulto fu lo stesso Duce”. Il foglio informativo è scritto in lingua italiana e slovena, ma la presenza alla commemorazione è inequivocabilmente a maggioranza slovena.

Basovizza         
Foibe di Basovizza. Flickr / Ho visto nina volare          

In realtà ci spiega Sandi Volk “questi quattro [antifascisti] diventano fin da subito degli eroi della Resistenza non solo dell’antifascismo sloveno ma anche dell’antifascismo italiano.[…] Dall’indipendenza slovena le celebrazioni hanno assunto caratteristiche diverse. È cresciuta l’importanza di queste celebrazioni e da alcuni anni sono presenti anche i Ministri della Repubblica Slovena.

L’antifascismo è comunque presente: ci sono due [cori di] oratori uno italiano e uno sloveno. Si cerca questo contatto, anche se non è mai stata riconosciuta a livello istituzionale e il monumento è gestito da privati”. Interessante vedere come Basovizza, luogo simbolo della
tragedia delle foibe, sia anche il luogo di una memoria diversa. A poche centinaia di metri troviamo infatti il monumento alle foibe, inaugurato nel 2007 e gestito dalla Lega Nazionale di Trieste.

Qui si accende tra di noi una breve ma significativa discussione sulla
scritta del monumento che recita: “Onore e cristiana pietà a coloro che qui sono caduti. Il loro sacrificio ricordi agli uomini le vie della giustizia e dell’amore sulle quali fiorisce la vera pace”. Eccoci nuovamente di fronte ad un profondo clivage sulla memoria, stavolta tutto italiano. La discussione verte sulla scelta lessicale della frase, per alcuni inadeguata perché tendente ad una retorica considerata ideologicamente di destra, per altri adatta proprio a salvaguardare la memoria del luogo e delle sue vittime.

Le discussioni e i confronti, data la vivacità intellettuale del gruppo,
non mancheranno di accompagnarci durante l’intero percorso.

Il secondo giorno prevede la visita al monte Kozara, nei pressi di Prijedor in Bosnia Erzegovina, luogo commemorativo dell’epopea partigiana che dagli anni ’90 in poi ha subito un processo di
risemantizzazione in senso nazionalista.

Kozara 
Kozara. Foto di Camilla Mantovanelli         

Il museo è purtroppo chiuso quando arriviamo, ma dalle piccole fessure della struttura anni ’70 in cemento armato, si intravede bene la presenza della mostra “temporanea” che dal ’99 viene ospitata nei suoi locali e che rappresenta un ottimo esempio di rivisitazione in senso nazionalista delle tragedie delle guerre. Fin dal titolo “Il genocidio dei serbi nel XX sec. 1914-1918, 1941-1945, 1991 – ?” è possibile capire come i nazionalismi degli anni ’90 abbiano strumentalizzato una parte della memoria e della storia al fine di giustificare i nuovi orrori della guerra.

Grazie al finanziamento del Ministero della Republika Srpska, la cosiddetta
rivitalizzazione della mostra precedente è stata finalmente affidata al direttore del Museo di Bijeljina, Mirko Babic. La mostra permanente ciò nonostante rimane saldamente al suo posto, mostrandoci l’estrema difficoltà che le autorità politiche e del Parco Nazionale del Kozara
registrano nella sua rimozione, frenati dal timore di suscitare le proteste di politici nazionalisti ancora in grado di strumentalizzare queste vicende.

Nel raccontare la storia di Prijedor del ‘900, a partire dall’apertura della miniera nel 1917 fino all’apertura del campo di Omarska proprio in uno
dei maggiori siti della miniera attraverso le stragi e le deportazioni della seconda guerra mondiale, i partecipanti colgono quasi in maniera tangibile la complessità della tematica storica e delle memorie divise del ‘900, così come la sua profonda attualità.

Continua

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