di Michele Nardelli – Milletrecentoquarantotto chilometri. E’ lo spazio che ci siamo messi alle spalle, in una giornata di luglio, per arrivare a Sofija dove si svolge la prima edizione di “Terra Madre Balcani”. File interminabili di automobili sotto un sole cocente, provenienti da ogni parte d’Europa tanto da poterne ricostruire una dolorosa geografia dell’esilio, un popolo di migranti che ritorna a casa portandosi con sé la forza di qualche risparmio, la speranza di un futuro migliore, una lingua imparata, il bisogno di mantenere vive le proprie radici. Osservo questa umanità mentre aspettiamo pazientemente in fila che le frontiere compiano il loro sopruso quotidiano.

foto di Antonio Tutino Italia-Bulgaria solo andata

Potevamo sorvolarlo questo spazio di vita, il low cost ormai ti permette di raggiungere le mete più lontane in poche ore. Non però i prodotti trentini riconosciuti come “presidi” Slow Food, ingredienti di qualità per la cena che Max e Valery (cuochi rispettivamente italiano e bulgaro) prepareranno per le delegazioni provenienti da tutti i paesi della regione e per gli ospiti di Sofija. Qui sono riuniti 160 delegati in rappresentanza delle quaranta “comunità del cibo” di Slow Food provenienti dall’Albania, Bosnia Erzegovina, Croazia, Kosovo, Macedonia, Romania, Serbia e, ovviamente, Bulgaria. Negli stand allestiti in un tendone nel centro di Sofija portano i loro prodotti, dal formaggio nel sacco agli ortaggi biologici, dal miele alle erbe officinali e ai prodotti del bosco, dal prosciutto stagionato secondo le antiche tradizioni alla proposta di un turismo attento al territorio e per questo responsabile. Insieme portano le culture materiali e i saperi dei luoghi, di cui sono orgogliosi, indicando forse inconsapevolmente una risposta possibile all’omologazione che la globalizzazione porta con sé.

foto di Antonio Tutino Italia-Bulgaria solo andata

Sono una piccola comunità, un segno di civiltà e di resistenza in un contesto che sembra invece non dare speranza. Nel centro della capitale bulgara, ogni cento metri un casinò, prostituzione, centri commerciali con le insegne che trovi ormai ovunque, banche dai nomi conosciuti e agenzie che prestano denaro e comprano oro. Nei negozietti le merci senza qualità che puoi trovare ormai in ogni luogo del mondo mentre nei bar persino il caffè turco è scomparso lasciando il passo al Nescafé.
Le persone che s’incontrano all’Università di Sofija testimoniano che c’è dell’altro, un’umanità che non si rassegna all’imbarbarimento e che prova a ricominciare dal messaggio che “Terra Madre” porta con sé: buono, pulito e giusto.
L’Università di Sofija è un edificio monumentale dell’inizio del Novecento e descrive bene lo splendore di un tempo di questa città. Nel 1911 Lev Trotsky, allora giornalista inviato del Kievskaja Mysl sul fronte delle guerre balcaniche, racconta di come fosse brusco il passaggio dal fango belgradese ai fasti di Sofija, paragonabile alle più moderne città europee. Grandi scalinate di marmo, le aule e i grandi spazi interni rivestiti di legno massiccio… sembra di entrare in uno spazio fuori dal tempo.

E’ in una modernissima sala ricavata nella ristrutturazione in corso che prende il via la prima edizione di “Terra Madre Balcani”, l’incontro delle quaranta “Comunità del cibo” della regione. Sono reti locali che si prendono cura della produzione, della trasformazione, dell’educazione e della promozione del cibo di qualità in una visione di sostenibilità e di valorizzazione delle culture e dei saperi dei territori. Sono quindi agricoltori, allevatori, raccoglitori, artigiani del cibo, cuochi o anche semplicemente persone che conoscono ed amano la terra dove vivono e lavorano. Ogni rete è una storia a parte. Sono qui per raccontarle queste storie, che ci parlano del piacere e della bellezza di fare le cose per bene, secondo la tradizione e nella speranza che non vadano perdute. E anche della fatica che ne viene, dei pregiudizi da superare, delle difficoltà che s’incontrano, delle ottusità di poteri che amano più il profitto personale piuttosto che la loro terra. E’ la storia che ci racconta George, animatore della comunità del prosciutto Helenski But, nella regione di Veliko Trnovo. Il prosciutto che lui propone è il primo prodotto riconosciuto da Slow Food in Bulgaria ma prima ancora della qualità del suo prodotto (peraltro davvero eccezionale) quel che preme a George è quello di mantenere coesa una comunità che rischia di perdersi nella banalizzazione del gusto e nell’omologazione dei centri commerciali. Tanto che di questo prosciutto già si sono perse le tracce. E non viene ufficialmente riconosciuto. Così quando un anno fa Slow Food Bulgaria organizza l’incontro con il Ministro dell’agricoltura e del cibo di quel paese, nel piccolo ricevimento che viene organizzato nell’occasione il Ministro rimane incantato da un prosciutto che formalmente è considerato fuorilegge.

foto di Antonio Tutino Italia-Bulgaria solo andata

Le storie si sovrappongono. Quella di Katarina che si occupa di “aroma-terapia”, oppure quella di Rozalia che viene dai villaggi sassoni della Transilvania e che prepara con le sue mani ogni tipo di confettura e marmellata. O, ancora, quella di Atila che produce il “sirene bianco” ovvero un formaggio di una pecora di origini antichissime (la Karakachan, dal pelo lungo e che cambia colore con l’età) della quale resistono soltanto quattrocento esemplari. Una giornata fitta d’incontri e racconti che si conclude con una cena dove si sovrappongono i sapori trentini e quelli locali, la polenta di Spin della comunità del cibo della Valsuagana e il formaggio verde di Tcherni vit, la “carne salada” della comunità del cibo dell’Alto Garda con i fagioli della regione di Smilyan… C’è anche l’ambasciatore italiano a Sofjia, un po’ disturbato dal fatto che le relazioni fra i territori arrivino là dove la diplomazia degli stati non sa volare. fine prima parte.

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