Scatti

Scendiamo in città diretti alla fototeca Marubi, un archivio fotografico dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco che raccoglie scatti di più di un secolo di storia cittadina. Durante il tragitto si parla con Gentjam della plurisecolare anima multireligiosa di questa città: “nel centro di Scutari si trovano diverse moschee, la cattedrale cattolica e la chiesa ortodossa, detta anche chiesa della natività. Negli anni trenta del secolo scorso ogni 28 novembre, giorno di festa nazionale, Gjergj Fishta, un prete-poeta francescano tra i fondatori dell’alfabeto albanese, come segno di unità tra le tre comunità religiose collegava minareti e campanili con centinaia di luci che illuminavano strade e piazze gremite di gente in festa”.

La chiesa ortodossa, detta anche chiesa della Natività
(Foto di Christine Bednarz).

Tutto ha inizio nel 1856. Pietro Marrubi, un garibaldino di Piacenza che a causa della sua attività politica è costretto a lasciare l’Italia e prendere la strada dell’esilio, termina il suo lungo peregrinare a Scutari dove cambia il proprio nome in Pjetër Marubi e dopo un paio d’anni apre il primo atelier fotografico cittadino (lo studio Marubi) che nel corso dei decenni affianca ai servizi privati (ritratti di persone o famiglie) veri e propri reportage commissionati da riviste italiane ed albanesi.

Pietro Marrubi

Lo studio raggiunge il suo apice negli anni venti, quando Gegë Marubi, fresco di diploma conseguito a Parigi presso lo studio dei fratelli Lumiere, applica le tecniche più moderne dell’epoca utilizzando raggi infrarossi, solarizzazione e foto in rilievo. La galleria si trova nel centro cittadino, non lontano dalla zona pedonale da poco ristrutturata dove è possibile passeggiare ammirando le vecchie abitazioni scutarine. Purtroppo le foto in mostra sono poche e mal esposte, sistemate in modo approssimativo sulle pareti del corridoio d’ingresso. E’ un peccato, poiché rappresentano una testimonianza unica della società albanese dalla fine dell’ottocento lungo tutto il ventesimo secolo, non solo gli strati benestanti e cittadini ma anche le comunità di pastori delle zone remote di montagna, i loro usi, costumi e riti. L’archivio non è solamente fonte di materiale per etnografi ed antropologi, ma ha anche “fermato” i passaggi della Storia di questa regione. In una foto si vede un uomo issare la bandiera albanese in cima alla fortezza di Rozafa: siamo nel 1914, anno dell’indipendenza albanese.

Il lago dimenticato

Da Scutari ci muoviamo verso il piccolo villaggio di Zogaj lungo le rive del lago Scutari, un immenso specchio d’acqua di 368 Km² diviso tra Albania e Montenegro. “Purtroppo”, mi dice Gentjam tradendo un poco di amarezza, “il trasporto su acqua è praticamente inesistente. Eppure le potenzialità sono enormi, sia in termini di mobilità che a livello turistico: dal mare si potrebbe raggiungere il lago risalendo il fiume Buna, combinando in tal modo diverse offerte turistiche, dalla spiaggia al birdwatching e la pesca nella zona lacustre”. L’immaginazione prende il sopravvento, penso ad un percorso in barca che dalle coste montenegrine con il loro susseguirsi di picchi e calanchi arrivi sino alle solitarie spiagge di sabbia albanesi – dove anche la bora scompare –,  per poi finire sul lago ad ammirare pellicani a volo radente tra salici e melograni selvatici.

Vista del lago Scutari dal villaggio di Zogaj (Foto di Christine Bednarz)

Dopo il villaggio cattolico di Shiroca (il nome deriva da San Rocco, santo protettore del paese) si scorge il piccolo minareto di Zogaj, simile a un faro-sentinella del lago. Identificato dalla municipalità di Scutari come sede di implementazione del progetto “Valorizzazione del turismo ambientale nei territori di Scutari, Niš, Kraljevo, Nikšić, Peć/Peja” contenuto nel programma Seenet, Zogaj nei prossimi anni beneficerà di interventi infrastrutturali e nuove tipologie di accoglienza come l’albergo diffuso, con l’obiettivo di rendere questo luogo motore di un turismo intelligente e sostenibile, evitando in tal modo la fuga dei suoi abitanti verso i centri cittadini. Ulivi, fichi e vigne nei cortili delle casette cintate di pietra, alle spalle il villaggio è coperto dal monte Tarabosh, distese di gelso a perdersi e greggi di pecore sulle alture: “i sentieri che partivano dal paese servivano un tempo a collegare l’altro lato della montagna, esposto a sud, dove c’era un microclima adatto a coltivare alberi da frutta. Oggi quella zona è pressoché disabitata, più nessuno si prende cura di quegli alberi”. Così durante la terza annualità del progetto è stato previsto anche il coinvolgimento della Sat (la sezione trentina del CAI) per pianificare percorsi di trekking e camminate che partiranno dal villaggio: un ulteriore, piccolo passo per combattere l’abbandono di questi luoghi.

Donne al lavoro (Foto di Christine Bednarz)

Prima di tornare a Scutari, Gentjam ci porta nella casa-laboratorio di Nebi: una cinquantina d’anni, due occhi curiosi si schermiscono in un ampio sorriso arioso. Dopo averci mostrato orgogliosa le arnie del suo giardino, da cui ricava miele di castagno e di erbe medicinali, ci introduce nella piccola stanza adibita a laboratorio tessile in cui si producono soprattutto tappeti e borse decorati con i motivi tradizionali albanesi, in particolare l’aquila bicipite ricamata in diverse tonalità – pur dominando la coppia nero-cremisi della bandiera albanese – e dimensioni. “La tradizione di questo particolare tipo di lavorazione della lana su telai orizzontali risale a 200-300 anni fa, mi è stata tramandata da mia madre che ogni settimana andava da Zogaj a Scutari per vendere i prodotti nella čaršija cittadina. Dopo il crollo del regime, Nebi decide di trasformare quello che è un semplice passatempo in una piccola impresa a gestione familiare: “in verità è successo tutto un po’ per caso, grazie ad una trovata di mio marito. Circa dodici anni fa, quando stavo muovendo i primi passi, a mia insaputa ha comprato uno spazio pubblicitario su una televisione locale e di colpo le ordinazioni sono iniziate a moltiplicarsi, specialmente da Lezhe e Scutari. Visto l’improvviso successo, ho deciso di assumere altre donne del paese e mettere in piedi una vera e propria impresa. Oggi riceviamo ordinazioni non solo dall’Albania ma anche dall’estero, facendomi ben sperare sul futuro della nostra attività ”. Quando le chiedo se anche le giovani generazioni hanno appreso questo antico mestiere,  allarga le braccia sconsolata: “le ragazze del villaggio vengono a lavorare da me, il problema è che le perdo dopo pochi anni, si sposano a Scutari e nessuno le vede più!”.

Torniamo alla macchina parcheggiata di fronte al porticciolo. Sull’imbarcadero riposano piccole barche da pesca, mezzo principale di sostentamento per la comunità locale. Davanti agli occhi si stagliano maestose le Alpi Albanesi, aspre e scoscese, belle di una bellezza violenta. Scriveva Edith Durham durante il suo viaggio su queste montagne: “penso che nessun luogo abitato da esseri umani mi abbia dato una tale impressione di isolamento dal mondo. E’ un posto dove i secoli rinsecchiscono, il fiume forse è la sorgente del mondo, le sue rive la patria di passioni elementari, rapide ed incandescenti”.

Le barche dei pescatori e, sullo sfondo, le Alpi Albanesi

(Foto di Christine Bednarz).

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