A farci da guida per il centro di Peć/Peja è Ilir Beqiraj, collaboratore del Tavolo Trentino con il Kossovo. “Questa città conserva le diverse stratificazioni depositate dai passaggi della Storia. Illiri, slavi, albanesi, turchi… i segni di ciascuno sono ancora ben presenti, rendendo questa regione colma di fascino e interesse”. Il nostro giro comincia dalla ?aršija, l’anima commerciale ottomana cresciuta nel quindicesimo e sedicesimo secolo trasformando la città in un centro nevralgico per i commerci da Oriente a Occidente e viceversa: metalli non preziosi (soprattutto ferro e rame) e prodotti agricoli come le pelli e la lana costituivano le principali esportazioni internazionali della regione, giungendo in Europa occidentale attraverso i mercanti di Ragusa, l’odierna Dubrovnik.

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Come ha scritto Mariola Rukaj sulle pagine di Osservatorio Balcani e Caucaso, ben poco è però rimasto delle vecchie produzioni locali, la maggior parte delle merci acquistabili per strada o all’interno delle botteghe proviene oggi soprattutto dalla Turchia. Riusciamo a scovare un piccolo negozio-laboratorio dove acquistiamo una plisa, il tradizionale cappello bianco indossato ancor oggi dagli uomini delle diverse comunità albanesi sparse per il mediterraneo; come ci ricorda il proprietario,“anche da voi in Italia è possibile vederne, basta andare a cercare le comunità arbresh sparse tra Sicilia e Calabria”. Il vecchio hamam è stato ben ristrutturato dall’Ong italiana Intersos, ed oggi è di proprietà della comunità islamica di Peć/Peja. Nell’ala adiacente ai bagni è presente una sala multifunzionale utilizzata da diverse associazioni cittadine. Al momento del nostro arrivo, un gruppo di donne è raccolto attorno ad una lunga tavolata: scopriamo che stanno partecipando ad un corso per imparare a leggere il Corano in lingua araba.

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Ilir ci guida in un bar non lontano dalla Čaršija, vuole farci assaggiare un particolare tipo di thé. Colpisce la sola presenza maschile all’interno del locale, segno di una divisione spaziale di genere ancora molto forte.“Nonostante sia chiamato the russo, in realtà proviene dallo Sri Lanka. Fu diffuso durante il periodo ottomano all’interno degli strati sociali benestanti della città, tra i bey di Peć/Peja. Anche il caffè turco era un lusso ai quei tempi, non tutti potevano permetterselo…”. La nostra visita si conclude al museo etnologico della città, ricavato all’interno di una casa tradizionale kosovara nel centro cittadino. Sebbene composto di sole quattro stanze, rappresenta un interessante testimonianza degli antichi usi e costumi della regione, dagli abiti agli utensili domestici. Quello che in origine doveva essere un viaggio alla scoperta della Val Rugova e delle sue cime incontaminate si è trasformato nell’incontro con una città di grande fascino, capace ancora – a saper guardare bene – di narrare al turista la sua complessa e plurisecolare storia. Le “montagne maledette” (la catena montuosa che circonda Peć/Peja) ci osservano nell’ultima luce del tramonto. Sarà per un’altra occasione.

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